Definirla o no sconfitta generale non è una questione di punti di vista, ma più che altro di significato delle parole in lingua italiana. Leggo da stamattina analisi più o meno autorevoli e più o meno consapevoli sul perché abbiamo perso in alcune città chiave, in altre considerate roccaforti rosse e anche dove per 5 anni avevamo ben amministrato ma "raccontato male" il lavoro svolto. Trovo tuttavia che siano mancati due elementi fondamentali in questa campagna elettorale e nel modo in cui il centrosinistra ha affrontato queste amministrative: l'ascolto dei cittadini e dei loro bisogni e delle loro paure e la capacità delle nostre classi dirigenti di farsene carico.
Ascolto della percezione di insicurezza dei cittadini, penso a Sesto San Giovanni, ex "stalingrado d'Italia" dove le fabbriche non ci sono più e per spiegare ai cittadini che gli stranieri che popolano le periferie milanesi non stanno facendo concorrenza sleale nel nostro mercato del lavoro serve molto più di una campagna elettorale: serve un lavoro concreto di presa in carico delle paure dei cittadini, del loro bisogno di inclusione, serve che chi ricopre cariche istituzionali provi a capirne i bisogni e trovare strade nuove per andare incontro a quei bisogni, non denigrandoli a capricci di serie B. Occorre un lavoro di integrazione sul lungo periodo, che non può essere fatto solo pochi mesi prima del voto e un cambio di rotta per quanto riguarda il linguaggio di alcuni esponenti delle istituzioni verso i cittadini.
Un investimento in cultura e in tutto ciò che fa sì che i cittadini possano vedere nel cambiamento un'opportunità, e mettersi in gioco essi stessi partecipando attivamente alla res publica.
Leggo con stupore alcuni che scrivono che il problema sarebbe Matteo Renzi: il nostro segretario che in questi mesi di campagna elettorale è rimasto defilato, come gli era stato suggerito in seguito alla sconfitta del referendum. Il nostro segretario che voleva, fin dal 2012, rottamare la classe dirigente che invece sui territori è rimasta e ha scelto tutto: i candidati sindaco, gli schemi da seguire, le persone da mettere nelle liste per il consiglio comunale e quelle che avrebbero o no fatto gli assessori successivamente, il tutto basato sulle correnti e non sulla meritocrazia, ma soprattutto una classe dirigente del partito che spesso ha finto di avvicinarsi alla passione politica di Matteo Renzi per poi continuare sul territorio a portare avanti vecchi schemi e vecchie logiche, di fatto vanificando il tentativo della nostra generazione di portare più Europa e più cambiamento nel quotidiano.
Come possiamo chiedere ai cittadini di vedere positività nel cambiamento economico-sociale in atto e di essere essi stessi parte attiva del cambiamento, se la frase più ricorrente all'interno del partito è "si è sempre fatto così"?
Un partito che non sa avvicinare le persone, e che dopo le sconfitte tende a mantenere nei posti ai vertici le stesse persone che quelle sconfitte hanno contribuito a causarle, nel vano tentativo di non ferire l'orgoglio di chi ha perso, di ricompattare il gruppo intorno agli sconfitti. Alcuni candidati sindaco forse non erano giusti per quella realtà locale, va detto, ma il candidato sindaco non è tutto nella campagna elettorale c'è un gruppo di lavoro e soprattutto c'è una scelta che viene fatta a monte: l'anno scorso a Milano Pisapia non si è ricandidato, di fatto aprendo le porte a Sala, dato per possibile vincente. L'abitudine a ricandidare il sindaco uscente non è sempre una buona pratica e soprattutto non è un obbligo sociale a cui non si può sfuggire.
Anche i complimenti pro-forma e i ringraziamenti a chi ha rovinosamente perso, li terrei in privato da parte degli amici: scrivere in pubblico a chi ha perso "grazie di tutto avete dato il massimo / da voi ho imparato moltissimo / poteva andare meglio ma non è colpa tua", letto da un cittadino qualunque suona come "per fare politica bisogna per forza essere finti quindi la politica è lontana da me, è altro da me".