Dopo
la sconfitta referendaria, non si è mai smesso di parlare della
comunicazione del Partito Democratico. Del modo in cui raccontiamo ciò
che è stato fatto e ciò che vorremmo fare, attraverso i social ma anche
nel dialogo quotidiano e offline con i nostri conoscenti.
La
narrazione che abbiamo creato, in questi anni, ha certamente avuto
qualche problema: non arrivava a tutti. Il lavoro politico non è sempre e
solo campagna elettorale, è anche il lavoro quotidiano dei nostri
parlamentari, le buone pratiche delle nostre amministrazioni locali,
l'impegno quotidiano dei militanti e degli iscritti ai circoli. Circoli
che dovrebbero tornare ad essere laboratori di idee, e invece spesso
sono piccoli gruppi di anziani che si conoscono da una vita e che
chiudono le porte a chiunque si avvicini non in qualità di "figlio di".
Spesso
i sostenitori di Matteo Renzi hanno trovato più spazio online per lo
scambio di idee, punti di vista, per un semplice confronto di opinioni.
Il rischio tuttavia della comunicazione tramite i social è quello di non
arrivare a tutti, e di essere troppo aggressiva.
Un
messaggio dovrebbe essere veicolato in modo da essere compreso
dall'interlocutore, e Facebook ci mette di fronte in contemporanea ad
interlocutori diversi: questo ci porta alla difficoltà di non sapere mai
se scrivere come se stessimo parlando ad una persona semplice,
piuttosto che scrivere in modo serio ed argomentato.
Nell'incontro
diretto con gli altri, abbiamo a disposizione molti strumenti del
linguaggio non verbale: gesti, sguardi, vicinanza, contesto etc. Questi
strumenti mancano nella comunicazione scritta, che tuttavia si è aperta
davvero a chiunque negli ultimi anni. Nello scrivere ci rivolgiamo
principalmente a sconosciuti, di cui non sappiamo molto e di cui non
conosciamo la preparazione politica e gli strumenti culturali che hanno a
disposizione, e il messaggio che vogliamo veicolare inevitabilmente non
può andar bene a tutti: chi ha una cultura politica troverà
probabilmente superficiali post, articoli, punti di vista espressi in
modo troppo semplice e d'altra parte scrivendo post troppo lunghi si
rischia di annoiare chi è stanco, abituato a slogan pubblicitari e
magari è in piedi in metropolitana con lo smartphone in mano che scorre
nervosamente la home di Facebook, senza avere le enegie per prestare
un'attenzione maggiore a ciò che legge.
Un
video su Facebook viene visto in media per 10-20 secondi, e lo
storytelling diventa visual per attirare l'attenzione sempre più
attraverso le immagini e sempre meno attraverso l'approfondimento dei
contenuti.
Un
vantaggio per l'utente disattento e sporadico del web, che percepisce
come immediatamente fruibili anche materie complesse, ma un enorme
handicap per chi cerca di capire e vorrebbe conoscere. Dove troviamo il
punto d'equilibrio? Come andiamo incontro al nativo digitale di 16 anni
ed insieme al pensionato, al docente e al muratore? E' necessario che il
racconto di ciò che la buona politica sa fare per il Paese arrivi a
tutti, ma non è facile certamente trovare il punto di equilibrio tra un
eccesso di semplificazione e un modo di scrivere troppo serio e poco
accattivamente.
Una
strada può essere quella di diversificare: diversificare la
comunicazione in base al target, e destinare quindi i messaggi giusti
alle persone che possono comprenderli. Senza nessuna pretesa di arrivare
a tutti nello stesso modo e con gli stessi identici contenuti. Rimane
molto difficile, nel fare questa scelta, essere certi di non incontrare
l'interlocutore non adatto e dobbiamo quindi essere sempre aperti alla
possibilità di ricevere critiche da chi avrebbe preferito l'altra
modalità comunicativa.
Un
altro passo da fare, certamente, è quello di costruire ogni singolo
messaggio (visual o semplice testo che sia) in modo da permettere
un'interattività e considerare l'interattività come parte della
comunicazione stessa: i commenti spesso generano infinite conversazioni
che presto degenerano in insulti reciproci tra persone che partono da
presupposti totalmente diversi e non intendono muoversi di un millimetro
dal punto dove sono arroccati. Senza una mediazione non c'è incontro
con l'altro, senza incontro non c'è politica.
Nell'impostare
i messaggi e il dialogo, mettiamo l'altro al primo posto e anche se
l'altro non è esattamente il nostro target, spendiamo un minuto in più a
spiegare: certamente non potremo convincere chi la pensa in modo
totalmente opposto, ma ci sono centinaia di persone che leggono e che
non interagiscono attivamente, ma ascoltano i ragionamenti e le
argomentazioni: avere argomentazioni deboli non fa bene se si vuole
trasmettere la propria passione politica ma anche i contenuti. Non fa
bene al Partito Democratico, alla possibilità di arrivare a tutti con il
suo racconto del lavoro svolto e con il suo progetto di futuro. Il mio
invito per il futuro è di puntare alla mente delle persone, non alla
pancia, e solo laddove la mente non è pronta andare verso la sintesi e
un minimo di semplificazione resa necessaria dal contesto. Non il
contrario. Non partiamo dalla semplificazione per poi delegare
l'approfondimento ai soli che hanno le basi per farlo, perché quelli in
grado di approfondire altrimenti saranno troppo pochi per arrivare a
tutto il Paese, e soprattutto per arrivarci nei tempi stretti di una
campagna elettorale.
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