"Per un attimo vidi una pistola a terra, pensai di raccoglierla. Ma non lo feci. Capii che io non ero come il mio assassino. Da allora sono diventata la donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad adesso."
Ho avuto occasione di incontrare #LilianaSegre l'anno scorso, in una sala stracolma di studenti adolescenti che sono rimasti in un silenzio surreale per due ore ad ascoltare: la sua testimonianza lascia un segno indelebile nella memoria di chiunque abbia avuto l'opportunità di incontrarla sulla propria strada. Le discriminazioni a scuola, il tentativo del padre di fuggire in Svizzera, la deportazione, l'impossibile di conoscere ogni giorno cosa sarebbe avvenuto il giorno dopo, l'attaccamento alla vita in mezzo morte. La marcia lunghissima nel nuovo campo di concentramento al termine della guerra, centinaia di km passo dopo passo, i corpi annullati, la femminilità persa e la paura che non lascia mai il posto alla rassegnazione, la pistola del generale nazista a terra mentre si spoglia della divisa quando ormai la guerra è finita e i prigionieri stanno per essere liberati, improvvisamente a portata di mano per vendicare tutto quello che la giovanissima Liliana aveva subìto, che per anni le aveva tolto un nome e trasformata in 75190.
Oggi Liliana Segre ha fatto la sua ultima uscita pubblica, ad Arezzo, per raccontare la sua testimonianza. In futuro dovremo saper mantenere la memoria di quel prezioso insegnamento e trasmetterlo a chi non lo ha ancora ascoltato. La pace e il perdono sono una scelta: se l'ha fatta lei, possiamo farla tutti noi.
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