Mi pongo questa domanda, senza ironia alcuna.
Perché ogni giorno ascolto storie di amiche e conoscenti, poi leggo su internet e sui giornali altre storie ancora più inquietanti e rifletto.
Rifletto chiedendomi prima di tutto, se uno studia lo fa per i soldi? No, certo che no, lo fa per il gusto di imparare, per il piacere della conoscenza. Bene, però poi uno ha tutta la vita davanti, e ognuno di noi nella propria vita ha delle priorità. Più o meno discutibili, più o meno condivisibili.
C'è chi sogna le borsette firmate e la cucina Scavolini (sigh!), chi sogna l'auto status symbol (sigh 2), chi vorrebbe solo costruire una famiglia e poter crescere i propri figli dando loro la possibilità di scegliere che cosa fare nella vita (si chiama maternità consapevole), chi vuole fare un lavoro che piace per sentirsi realizzato (categoria a cui appartiene in realtà la maggioranza degli esseri umani in tutto il mondo credo), poi c'è chi ha come priorità assoluta la propria emancipazione da ogni forma di controllo sociale da parte di altri e viaggiare (come la sottoscritta).
Ora, se una persona ha studiato 5 anni, per esempio, per avere una professionalità e delle competenze in un settore, bisognerebbe poi capire perché debba lavorare per 300-600 € al mese, essere costretto ad aprire una partita iva per evitare contratti a progetto illegali ma per qualche motivo non impugnabili, fare lavori in cui il sapere e la conoscenza non c'entrano nulla ma l'unica priorità è il guadagno, la capacità di vendere qualcosa in cui molto probabilmente non si crede, la capacità di resistere al mobbing e alle richieste continue di straordinari. Vorrei proprio entrare nel cervello delle persone che hanno teorizzato questi tipi di contratti e capire da dove arrivano esattamente queste idee sul valore del lavoro e del tempo. Ci sarà qualcosa che ha dato origine a questo fenomeno?
Per non parlare del praticantato non retribuito di anni per molte professioni come gli avvocati e gli architetti, dell'ambito radiotelevisivo dove ci sono montatori, grafici e producer pagati 500-800 € al mese con contratti a progetto, dei laureati triennale + specialistica in corso con ottimi voti che finiscono in un call center e li lasciano al loro posto, facendo crescere professionalmente le persone diplomate.
O dei ricercatori universitari, o peggio ancora di chi dopo un dottorato si presenta a cercare un lavoro spiegando che ha un dottorato e riceve risposte del tipo: "ah, è una specializzazione particolare?".
Poi ci sono i lavoratori della cultura, un mondo a parte su cui conviene stendere un velo pietoso, anzi diciamo una coperta perché delle storie che ho sentito non ce ne è una positiva. Stage continui, mai retribuiti, il grosso del lavoro che va avanti col volontariato, e un quantitativo enorme di persone assunte solo ed esclusivamente tramite agganci.
In molte aziende (le famose grandi multinazionali che usano le agenzie interinali) poi c'è l'assoluta incapacità di fare colloqui, assumono persone "che sappiano l'inglese" senza averlo testato, poi ti ritrovi vicine di postazione che non sanno mettere la S alla terza persona singolare ma ti dicono tranquillamente "sì al colloquio ho detto che il mio inglese era buono e non mi hanno chiesto più niente", e lì ti chiedi: ma non è che forse hai avuto il debito 5 anni e non l'hai mai recuperato? Oppure gente che traduce email per i clienti col traduttore di google, e tu che hai fatto l'Erasmus non sai se devi ridere o piangere ma siccome ha una testa inizi a pensare al bicchiere mezzo pieno, e che quello che conta è l'approccio.
E tutti i laureati in scienze dell'educazione, l'ambito del sociale? 700 € al mese a vita con contratti di cooperativa.
Ad un certo punto le persone perdono la pazienza però. E davvero finiamola con il descrivere questo fenomeno come una fuga di cervelli, qui non è questione di cervelli e di chissà che intelligenza, è diventata una questione di dignità, di rispetto (mancante) della società intera verso l'individualità e la soggettività delle persone, della possibilità di autodeterminare le proprie scelte; qui è questione che una persona che ha sete di conoscenza, di confronto con l'altro, di imparare cose nuove, preferisce viaggiare lavorando, piuttosto che vivere con 500 € al mese sapendo che sarà sempre costretta ad andare in vacanza in campeggio in Croazia al massimo o a passare i sabati pomeriggio nei centri commerciali senza comprare nulla perché non ha i soldi per la benzina per fare una gita fuori porta.
E' questione di non perdere le proprie competenze linguistiche acquisite in anni di studio (e stage all'estero) trovandosi a mandare mail di 2 righe a un magazziniere semianalfabeta come unico modo per praticare la propria conoscenza linguistica, con accanto delle colleghe diplomate che passano il tempo a parlare dei pannolini dei loro figli e ti chiedono aiuto ogni volta che aprono Excel perché non hanno idea di come usarlo correttamente.
E' questione di scegliere, se restare in questi paese passivi, o se si ha la forza di combattere, o se è meglio lasciar perdere perché la vita è una sola e va vissuta fino in fondo e appieno non buttando via le giornate a fare cose che NON vogliamo fare.
E a volte si combatte per niente, contro tutti, senza un sindacato dalla propria parte perché nel tuo settore non c'è, non esiste, non è previsto. Perché una persona che ha studiato vorrebbe lavorare prima di tutto per passione e non per dovere sociale e poi si trova invece circondato di tacchini che aspettano il loro mangime quotidiano senza chiedersi da dove arrivi, hanno una profondità di visione di 2 metri e hanno delle ali che non sanno usare.
A questo punto mi chiedo: questo è un paese di tacchini? questo è un paese di gente che vuole solo subire, che non vuole cambiare nulla, gente che non la forza di combattere e si adegua a tutto?
Forse non servono i laureati. Non servono perché noi per primi non abbiamo consapevolezza del nostro valore, o non ne abbiamo avuta per troppi anni per cui ormai è troppo tardi, servono i partigiani. Servono persone disposte a combattere, a dire che non è importante avere un lavoro per passare la giornata in qualche modo (che tristezza!) ma è importante che trasformiamo le nostre conoscenze in lavoro, è importante spiegare al piccolo imprenditore un po' in crisi, che ha fatto la terza media e sogna di lasciare l'azienda al figlio, che se va avanti così e i laureati li vuole solo sfruttare è normale che fallisca, e poi se fallisce non è colpa di altri.
E mi chiedo: se questo paese ha bisogno di partigiani, ma il nostro popolo non è partigiano, non conviene forse espatriare?
La gente si mette in coda per l'iphone, compra telefonini a rate che non si può permettere, (ma quella gente serve perché fa girare l'economia quindi la società la vuole), compra auto inquinanti che fanno male all'ambiente e alla vivibilità delle nostre città, si indebita fino al collo e se glielo fai notare si sente offesa nel proprio orgoglio, (ma quella è una differenza culturale, devi rispettare quella persona se no l'errore è tuo che non capisci l'orgoglio ferito del povero cretino in oggetto) ma tu che hai studiato, hai interesse, curiosità per le cose, hai ancora un sacco di entusiasmo quando ti svegli al mattino nonostante tutto ... per la società non hai un valore, un ruolo, a questo punto la domanda è legittima: questo paese ha bisogno di noi?
Esiste un profilo di laureato-partigiano? Esiste un numero congruo di persone che hanno studiato e si sentono parte di una categoria di combattenti (non sottodivisa in praticanti avvocati/ricercatori/traduttori se no si fa una guerra tra poveri) che rivendicano semplicemente il diritto ad essere pagati almeno quanto un operaio assunto e a vedere le proprie ambizioni e le proprie aspirazioni realizzate anche se sono strane, come, che so, essere persone emancipate? Dove per emancipate intendo: persone autonome e indipendenti economicamente a tal punto da poter fare delle scelte in ogni ambito della vita senza la necessità di farsi aiutare da altri ogni volta, economicamente o praticamente o tramite baratto.
Questa società e questo paese Italia permettono questo?
Non è una domanda retorica sia chiaro, non è detto che la risposta sia no, ci sto semplicemente riflettendo.
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