venerdì 19 settembre 2014

Matteo Renzi: "Pensiamo a quelli a cui non ha mai pensato nessuno"


Nelle parole della CGIL di oggi, tutto lo stile di un sindacato che è rimasto negli anni ’70-’80, nelle parole, nei termini di paragone, nel concetto di diritto e nel significato di lavoro. Un sindacato che non si è mai accorto di tutti gli altri, perché a quanto pare non erano rappresentati, o erano invisibili.
La risposta di Matteo Renzi
“Oggi la Cgil ha deciso di andare all’attacco del governo. Ma quando si parla di lavoro noi non siamo impegnati in uno scontro del passato, ideologico, noi siamo preoccupati non di Margaret Thatcher, siamo preoccupati di Marta, 28 anni, che non ha la possibilità di avere il diritto alla maternità. Lei sta aspettando un bambino ma a differenza delle sue amiche dipendenti pubbliche non ha nessuna garanzia, perché? Perché in questi anni abbiamo creato cittadini di serie A e di serie B.
Noi quando pensiamo al mondo del lavoro pensiamo a Giuseppe, che ha 50 anni e che non può avere la cassa integrazione, o a chi, piccolo artigiano, è stato tagliato fuori da tutte le tutele, e magari la banca gli ha chiuso i ponti e improvvisamente si è ritrovato dalla mattina alla sera a piedi. Pensiamo a quelli a cui non ha pensato nessuno in questi anni, a quelli che vivono di co.co.co. e co.co.pro. e che sono condannati a un precariato a cui il sindacato ha contribuito, preoccupandosi soltanto dei diritti di alcuni e non dei diritti di tutti. Noi non vogliamo il mercato del lavoro di Margaret Thatcher, noi vogliamo un mercato del lavoro in cui ci sono cittadini tutti uguali, vogliamo un mercato del lavoro giusto, vogliamo delle regole sul diritto del lavoro giuste e non regole che dividono sulla base della provenienza geografica o che siano complicate; se poi con queste regole nuove aziende, multinazionali e non solo, verranno a investire in Italia e creeranno posti di lavoro, sarà fondamentale per poter finalmente tornare a dare lavoro a chi non ce l’ha. Nel frattempo a quei sindacati che vogliono contestarci, io non chiedo di darci almeno il tempo di presentare le proposte prima di fare le polemiche, ma chiedo dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia che ha l’Italia, l’ingiustizia tra chi il lavoro ce l’ha e chi il lavoro non ce l’ha, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi è precario, e soprattutto tra chi non può neanche pensare a costruirsi un progetto di vita perché si è pensato soltanto a difendere le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente. Sono i diritti di chi non ha diritti quelli che ci interessano, e noi li difenderemo in modo concreto e serio”.
Qui il video dell'intervento del premier.


In ogni caso, per precisare la mia posizione, avendo fatto l’Erasmus in Galles e avendo avuto l’opportunità di trascorrere molto tempo in Gran Bretagna non solo in quell’occasione, se è la politica della Thatcher quella che ha portato quel Paese ad essere quello che è ora, e ci fosse davvero la possibilità in Italia di vivere tra vent’anni come in Gran Bretagna passando attraverso quel processo di rinnovamento, ci metterei la firma subito. Diritti e doveri inclusi.
Quello che veramente vorrei è un mondo del lavoro in cui se c’è un periodo di crisi in cui si arriva ad un 12 % di disoccupazione (perché una curva di un grafico non crescerà all’infinito e non possiamo avere la crescita che abbiamo avuto in passato) almeno che quel 12 % di disoccupati siano le persone che non hanno voglia di lavorare, e che non si dichiarino disoccupate persone in realtà inoccupate o inoccupabili, che non mandano curriculum, non fanno formazione e non hanno nessuna tipo di intenzione di lavorare in regola. Sarebbe bello (un po’ utopico ne sono consapevole) se si iniziasse a far lavorare solo chi ha voglia, chi è motivato e chi è in grado di svolgere le mansioni richieste, e le persone che non hanno intenzione di continuare con la propria attività sarebbe bello (e utopico) che avessero la possibilità di ammetterlo e rinunciare al posto di lavoro: saremmo innanzitutto in un Paese più efficiente, e da lì si creerebbero posti di lavoro con mansioni adeguate anche per chi vuole fare poco e con una certa routine, ma dopo, non prima di chi invece merita.
E’ un cambiamento di testa, tante persone considerano il cambiamento come un handicap e considerano non superabili delle difficoltà che per un giovane sveglio e capace sarebbero minuscole, come ad esempio:

-      spostarsi di qualche kilometro, magari neanche una decina, da un posto di lavoro ad un altro con persino qualche mese di preavviso, durante la strada potresti ascoltare l'autoradio e scoprire cose nuove.
-        avere uno stipendio oscillante dal mese prima al mese dopo.
-       non darsi malati per un raffreddore o un mal di schiena.
-       capire che tredicesima, quattordicesima e premio di produzione potrebbero anche (pensa un po’!) dipendere dal fatturato dell’azienda e quindi non essere garantite.
-       pensare ipoteticamente che possano cambiare il gestionale per motivazioni aziendali e tu debba imparare ad usare un programma nuovo senza protestare due anni perché non hai neppure voglia di imparare ad utilizzarlo nonostante il corso di formazione pagato dall’azienda: ti pagano nella tua fascia oraria lavorativa per imparare una cosa nuova invece che per lavorare, potrebbe persino rivelarsi interessante!
-       accorgersi che se da 10 anni prendi un volo alle 4 del mattino quando vai in vacanza, fai la spesa in un centro commerciale la domenica e pretendi un call center h24 ogni volta che ti cade l’adsl, forse siamo in una società che vive un po’ h24 e 7 giorni su 7 quindi se ti chiedono come insegnante di fare un doposcuola nel pomeriggio vista la cifra che prendi potresti anche farlo (o almeno valuta questa ipotesi).
-       scoprire che il treno delle 17.01 in Porta Garibaldi (Milano) non giustifica la coda alla timbratrice sgomitando con i colleghi, perché nonostante la pessima reputazione di trenord vi garantisco, ebbene sì, che c’è un treno alle 17.22, uno alle 17.31 e uno alle 17.46, e tanti altri successivi … sì lo so quando proverete questa esperienza di vita probabilmente nevicherà e il treno sarà pure in ritardo per voi.
-       cambiare lavoro quando ti rendi conto che il lavoro che stai facendo non ti piace più, non riesci più a farlo fisicamente o non è più in linea con le tue esigenze famigliari, non guardando la pensione come un traguardo (“mi mancano 17 anni alla pensione” ?!?) ma gli anni a venire come un’opportunità di fare formazione e reinventarti. 
-   valutare di non essere idoneo a fare un lavoro all'aperto in mezzo ai boschi come la guardia forestale qualora ti rendessi conto che ogni volta che il meteo dà brutto di dai malato.
- valutare l'idea che timbrare il cartellino per altri è un po' un reato e non è un comportamento difendibile ma un comportamento del quale una persona adulta si assume piena responsabilità con tutte le conseguenze del caso.

-       etc etc.
E’ davvero un peccato che il sindacato per anni abbia perso tempo a difendere questi comportamenti e non abbia neppure visto i lavoratori a progetto, le finte p.iva, gli stage utilizzati in modo completamente illegale e le domande discriminanti nei colloqui, gli straordinari non pagati a persone che hanno voglia di risolvere un problema e non di rimandarlo al mattino dopo mentre il collega con 20 anni di scatti di anzianità per la sua “esperienza” è già andato a casa da ore, ma tu sei lì perché la merce deve partire stasera o perché la consegna va verificata prima di chiudere.

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