lunedì 2 novembre 2015

La storia di Paola Filippini, respinta al colloquio perché si rifiuta di rispondere a domande personali

Riporto integralmente il post Facebook in cui Paola racconta la sua storia, un colloquio come un altro, in cui tutte le donne si sentono in genere di mentire o si cacciano nei guai fornendo dati richiesti in modo non legittimo. No, non era semplice rispondere. Ad un uomo non sarebbe stata fatta questa domanda, la domanda è quindi discriminante dal punto di vista del genere e infatti il seguito della conversazione lo dimostra. Grazie a persone come Paola che invertono la rotta è possibile fare qualcosa per cambiare le cose, chi subisce supinamente le regole pensando di guadagnare qualcosa perde per se stessa e per tutte le altre donne che verranno dopo di lei. 

Ecco la storia del colloquio di Paola, fotografa, creativa, una persona coraggiosa che si è trovata improvvisamente ad avere a che fare con l'imprenditore italiano medio pronto ad assumere una ragazzina succube come tutte quelle che, pensando di non avere un valore professionale, guardano all'imprenditore come al magnate che sarà in grado di dare qualche soldo per le borsette per cui rispondono a tutte le domande anche quelle non legittimamente poste perché tanto quello che conta è non ribellarsi. No, è ora di dire basta.

"Premetto che ho contato fino a diecimila prima di scrivere queste parole. Ma non riesco a non dirle. E le scrivo qui, per una massima diffusione. Perché tutti devono sapere cosa accade al giorno d'oggi. Vi chiedo di prendervi un paio di minuti per leggere e condividere ciò che mi è successo, perché mi sento offesa e arrabbiata, e tutti, uomini e donne, devono sapere.
E' SUCCESSO DI NUOVO, ED E' ORA DI DIRE BASTA.

Questa mattina sono stata convocata per un colloquio di lavoro presso una nota agenzia immobiliare di Mestre che si occupa-anche-di affitti turistici. Sto cercando un lavoretto saltuario per arrotondare perché non sono ancora abbastanza brava e famosa per vivere di sola fotografia, quindi mi sono proposta come hostess per check-in per alloggi turistici, un lavoro che ho già fatto per tanti anni.
Lui, l'egregio Dott. M.M. si presenta all'appuntamento con 30 minuti di ritardo. Non fa niente. Ha una maglia verde lega, ma mi astengo da pregiudizi. Entro nell'agenzia, e dietro di me, sulla porta, un signore che parla poco l'italiano chiede di poter entrare a chiedere un'informazione. Lui, l'egregissimo M.M., lo secca con un “Torna dopo!”. Soppesando il suo grado di educazione e professionalità, lo seguo verso il suo ufficio.
Mi fa accomodare alla sua scrivania, ma non si presenta, non mi da la mano, non si scusa del ritardo, mi da del tu. Questa cosa mi da fastidio, ma anche qui passo oltre.
Prende un foglio prestampato. Questionario Informativo, c'è scritto. Inizia con le domande:
Lui: “la tua data di nascita?”
io:“1-12-87”
Lui:“e quanti anni hai?”
io: “28”
Lui:“dove vivi?”
io: “risiedo a Mestre”
Lui:“..mi serve l'indirizzo preciso”
io: “sono certa di averlo già scritto nel mio C.v.” sorrido educata.
Lui:“mi serve questa informazione di nuovo” (seccato)
io: “va bene, via ***”
Lui:“ok. Stato civile?”
io: “in che senso?” (oh no, sento già lo stomaco chiudersi)
Lui:“sei sposata? Convivi? Hai figli?”
Respiro “E' necessario che io risponda a questa domanda?”
Lui:“si, è necessario” (si sta agitando)
io: “posso non rispondere”?
Tenetevi forte.
Lui: “Certo. Allora ti puoi anche accomodare fuori, per me il colloquio finisce qui”.
Prende il Questionario Informativo, lo strappa davanti alla mia faccia con fare da vero uomo duro. Si alza, mi apre la porta.
“Non capisco,” dico io “perchè mi sta congedando in questo modo”
Lui: “Perchè tu mi devi rispondere alle domande, e se non mi rispondi il colloquio non può proseguire”
Io: “Non può proseguire il mio colloquio se io non le descrivo la mia situazione famigliare?”
Lui: “esattamente.”
Io: “mi può fornire almeno una spiegazione?” (cerco di insistere)
Lui: “Devo sapere se sei sposata e se hai figli, perché questo determina la tua disponibilità lavorativa”
Io: “mi scusi Dottore, ritengo che la mia disponibilità lavorativa esuli dalla mia condizione privata. Se vuole sapere quanto e quando posso lavorare, mi può semplicemente chiedere qual'è la mia disponibilità oraria”
Lui, ormai furibondo:“Io chiedo quello che mi pare, e se non vuoi rispondere non posso darti il lavoro. Ora te ne puoi anche andare”.
1...2....3......Vabe dai, ormai è fatta. Parto con le mie:
“Posso dirle una cosa? E' proprio per colpa di persone come lei che questo Paese sta andando a puttane. Perché se a una donna viene chiesto di dichiarare la sua situazione famigliare prima di chiederle quali sono le sue capacità, cosa sa fare e quali sono le sue aspettative lavorative, allora siamo proprio in un mondo di merda. Lei non sa che parlo perfettamente 3 lingue straniere, non sa che questo lavoro l'ho fatto per anni, che ho tanta esperienza e capacità. Lei non me lo ha chiesto. Mi tolga una curiosità, anche ai maschi chiede se hanno figli e se sono sposati quando fa loro un colloquio?”
Lui: “no, ai maschi non lo chiedo. Perché questo è un lavoro che ritengo debbano fare solo le donne”
Io (ormai balba): “Sul serio? Ma lei si sente quanto parla?”
A questo punto prendo la porta, ma prima di andarmene gli porgo la mano per salutarlo, professionalmente. Ma lui “no, non ti do la mano”
io: “e perché?”
Lei: “Perchè non voglio darti la mano, buona giornata”.
Sorrido, arrivederci, me ne vado. Torno all'ingresso, e lì, mentre sto per uscire, con gran classe mi urla dalla sua scrivania “spero proprio che troverai un lavoro!!”

Mi fermo un momento davanti alla porta. Non rispondo, semplicemente perché non è mio costume urlare alla gente da un ufficio all'altro. Chi mi conosce sa quanto sono Signora. Esco, e faccio un profondo respiro. Ho detto un decimo delle cose che avrei potuto dirgli. Perchè in quei momenti ti senti così male e così offesa che il cervello rallenta per l'incredulità.
E allora: Caro piccolo uomo col maglione verde e il cazzo sicuramente minuscolo, nel tuo bellissimo ufficio hai incorniciato la foto di tua figlia, una graziosa ragazzina di circa 16 anni, che – per ironia della sorte – assomiglia tantissimo a me quando avevo la sua età. Prova a pensare, piccolo uomo con piccolo cervello e grande presunzione, quando un giorno non molto lontano, la tua piccola vergine figliola andrà a fare un colloquio di lavoro, ed incontrerà un piccolo uomo che le chiederà se è sposata, se ha figli, se convive, e che le sue risposte in merito alla sua situazione famigliare determineranno il suo successo lavorativo. Prova a pensare per un momento come può sentirsi una donna, quando le viene fatta una domanda del genere. E' offensivo, è bruttissimo, è una VIOLENZA. Perchè non importa se hai studiato, se hai lavorato tanti anni, se hai fatto gavetta, se hai un bel C.v.. Importa se hai figli. Perché se li hai, è meglio che tu stia a casa ad allattarli.

Ho scritto questo fatto su facebook, e lo racconterò a tutti. Perché le donne devono sapere che non si devono mai abbassare a queste offese, e gli uomini devono sapere che esistono tanti uomini di merda a questo mondo. Proprio ieri ne parlavo con alcuni colleghi, fatalità oggi mi è successo, di nuovo. Ho perso la possibilità di un lavoro, ma non mi importa niente. Ho salvato la mia dignità, ho mantenuto la mia privacy. La condizione della donna al giorno d'oggi è ancora molto difficile.
Sappiatelo tutti."


Una storia famigliare a molte di noi, a molte delle nostre amiche. Una menzogna obbligata "sono single" data come risposta ogni volta che ci si teneva a quel lavoro, e la certezza di non essere assunte quando il posto non ispirava per niente se si rispondeva "sì certo sono fidanzata". Una volta una mia amica sentendo la responsabile delle risorse umane che le stava facendo il colloquio che urlava tutto il tempo al telefono, ha esagerato: "no sono fidanzata non vedo l'ora di avere un tempo indeterminato per fare dei figli". Il modo perfetto per non farsi assumere, anche se lei in realtà era single.
Un'altra mia amica si è presentata ad un colloquio come educatrice, le è stato chiesto se era fidanzata, ha risposto sì. Sono andati avanti, le hanno chiesto che lavoro faceva il suo compagno, ha detto che era disoccupato. La persona che le ha fatto il colloquio ha fatto una faccia incredibile, quasi schifata. Inutile dire che non l'hanno più richiamata. Inutile dire che non aveva alcuna intenzione di rinnegare il proprio compagno, nonostante erroneamente in tante le avessimo consigliato: menti, sono solo parole, dopo il colloquio quella delle risorse umane non la vedi più. Non è così. Non è questione di raccontarsi o no, è questione di tutela della dignità e della privacy della donna. Di voler essere trattate esattamente come un uomo, pur se in un corpo differente.
Un sistema non meritocratico, inutile dirlo, ma soprattutto un sistema sessista. Urge un cambio di rotta, e una maggior tutela della privacy. E' necessario che chi vive determinate situazioni le renda visibili a tutti, visibili perché solo rendendo il proprio comportamento visibile si può spingere anche gli altri a cambiare e a non rispondere a domande inutili per la propria professionalità.
SIATE VISIBILI, RACCONTATE LE VOSTRE ESPERIENZE NEGATIVE SENZA PAURA.
Senza paura di essere accusate di lamentarvi o di non sapervi adattare, raccontatele perché così spingete altre persone ad opporsi a questo sistema maschilista. Raccontate come siete uscite dalle situazioni in cui siete state messe in imbarazzo, date una lezione a chi pensa di avere un potere solo perché offre quattro spiccioli. Raccontare le proprie esperienze negative quanto più possibile e a quante più persone possibile, farà sì che anche altre non si adatteranno al sistema e l'unione aiuterà ad invertire la rotta. Insieme a una maggior consapevolezza di reale parità degli uomini, ma per questa aspettiamo leggi sul permesso di paternità obbligatorio basate su una visione europea della famiglia e della crescita dei figli. 

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