Riporto un articolo scritto da Roberto Ciccarelli per Il Manifesto il 7 gennaio 2016
Saggi. «Diritto d’amore» di Stefano Rodotà per Laterza.
Dalle unioni civili alla laicità dell’istruzione. Un libro che segnala
come la legge non può colonizzare la vita affettiva e la sessualità di
uomini e donne. L’amore non rinuncia al diritto. Lo usa come un mezzo
per realizzare una sua pienezza. Questo è possibile perché la sua storia
è storia politica.
È arduo per un giurista parlare del diritto di amare, dato che la
disciplina che rappresenta ha usato l’amore come premessa di un
progetto di controllo delle donne, ridotte a proprietà del coniuge,
mentre la politica continua a decidere sulla vita di uomini e donne.
E tuttavia, scrive Stefano Rodotà nel suo ultimo libro Diritto d’amore
(Laterza, pp.151, euro 14), l’amore non rinuncia al diritto. Lo usa
come un mezzo per realizzare una sua pienezza. Questo è possibile perché
la sua storia è storia politica.
Proprietà, credito e obbedienza: questa è la triade usata dal
«terribile diritto», il diritto privato, per assoggettare l’amore – e la
vita delle persone — alla razionalità dello Stato e al dominio della
legge. Rodotà conduce da sempre una critica instancabile a questo
modello. Per lui il diritto d’amore, come tutti i diritti, non nasce
dall’arbitrio soggettivo, né da un fondamento naturalistico, ma dal
legame tra il diritto e la realizzazione di un progetto di vita. Il
diritto è legittimato dalle persone che decidono di riconoscerlo e lo
usano per affermare l’autonomia e la libertà di tutti, non solo la
propria.
Ciò non toglie che il diritto e l’amore, il desiderio di unirsi
a un’altra persona, indipendentemente dal suo sesso, mantengano una
distanza irriducibile. Quasi mai, infatti, il diritto è un complice
della vita. Anzi, esiste per disciplinare gli affetti e per creare il
modello del cittadino laborioso, maschio, proprietario. L’amore, invece,
non sopporta regole o norme. Preferisce crearle da sé, nell’esperienza
delle relazioni, seguendo un divenire che difficilmente può essere
contenuto in un’unica disciplina valida per tutti. Per questa ragione il
diritto ha preferito confinare «l’amore senza legge in uno stato di
eccezione», come ha scritto un grande giurista francese, Jean
Carbonnier.
L’autonomia irrinunciabile
In questo stato di eccezione prevale l’originaria ispirazione del
diritto privato – cioè la riduzione della passione a cosa e della
persona a proprietà di qualcuno. Orientamenti presenti ancora oggi in
alcune sentenza della Corte Costituzionali o in fatali decisioni come
quella sulla legge 40 sulla fecondazione assistita approvata dal governo
Berlusconi.
A tutela dell’autonomia e della libertà delle persone, Rodotà usa la
Costituzione e dai suoi articoli fondamentali traccia un uso alternativo
del diritto che distrugge i valori di cui la stessa carta fondamentale
è espressione. A questo punto è quasi inevitabile per il giurista
raccontare la storia dei movimenti che hanno fatto esplodere il
perimetro formalizzato dei poteri e della legge nel secondo Dopoguerra.
Prima il movimento femminista, oggi i movimenti Lgbtq a cui Rodotà
dedica un intero capitolo. Il diritto di amare è diventato una questione
politica di rilievo perché alimenta la ricerca dell’autonomia delle
persone. Il conflitto è emerso, fortissimo, sulle unioni civili come, di
recente, hanno dimostrato i movimenti Lgbtq che hanno organizzato una
«marcia dei diritti» per criticare l’insufficienza, addirittura le
potenziali discriminazioni presenti nel disegno di legge Cirinnà che il
governo intende approvare.
Storia di un incontro
In questa partita rientra anche il conflitto sull’educazione alle
differenze nelle scuole: da una parte, c’è un movimento vasto che
sostiene la laicità dell’istruzione pubblica e la critica dei ruoli
sessuali per tutelare la libertà dei bambini e degli insegnanti.
Dall’altra parte, c’è una reazione furibonda che attraverso il meme
dell’«ideologia del gender» – una narrazione tossica strumentale
e infondata – ha saldato un ampio movimento conservatore con le istanze
più reazionarie del cattolicesimo e mira a colpire la laicità
dell’istruzione e la libertà nelle scelte d’amore.
Come accade nei suoi libri, Rodotà unisce la storia dei movimenti
a quelle della Costituzione italiana e della carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea alla quale ha contribuito. L’incontro
con i movimenti serve al diritto per «conoscere se stesso, il proprio
limite, l’illegittimità di ogni sua pretesa di impadronirsi della vita –
scrive Rodotà -. Emerge così uno spazio di non diritto nel quale il
diritto non può entrare e di cui deve farsi tutore, non con un ruolo
paternalistico, ma con distanza e rispetto». Dal punto di vista dei
movimenti, il diritto serve a riconoscere e a coltivare una tensione nel
darsi regole che possono cambiare, seguendo una geometria delle
passioni interna alle relazioni tra il soggetto e la sua vita.
In questo quadro è fondamentale il ruolo delle minoranze: il
movimento omosessuale, insieme a quello femminista, quello Lgbtq,
interpretano lo stesso modo di fare politica: per vincere i movimenti si
coalizzano con altri soggetti attivi nella società al fine di ottenere
un riconoscimento sociale e istituzionale. Le conquiste sulle libertà
personali sono valide per tutti, come hanno dimostrato l’aborto e il
divorzio. Il diritto d’amore si inserisce in questa nobile vicenda
e risponde a un’esigenza che ha dato il titolo a un altro, notevole,
libro di Rodotà: il diritto ad avere diritti.
Tensioni singolari
Auspicio, affermazione performativa, atto di cittadinanza: il diritto
ad avere diritti è una formula che caratterizza l’azione coordinata
delle minoranze e afferma i diritti universali di tutti: il welfare
state, l’ambiente, i beni comuni, per esempio. L’universalismo singolare
dei diritti si pratica sottraendosi dall’identità maggioritaria fissata
per legge (Deleuze la definiva «divenire minoritario») e, allo stesso
tempo, nella creazione di un diritto all’esistenza che sfugge ai
principi della morale dominante e agli assetti del potere organizzato
dal diritto. Questa duplice azione rivela l’esistenza di uno spazio
rivoluzionario. Rodotà lavora alla sua riapertura, in un momento non
certo felice di arretramento generale.
Diritto d’amore è infine un libro che va letto insieme a quello
dedicato da Rodotà alla solidarietà. Da tempo il giurista è impegnato in
una ricostruzione genealogica delle passioni e delle pratiche volte
alla costituzione di una soggettività caratterizzata da un rapporto di
reciprocità, irriducibile al narcisismo o alla naturalizzazione dei
ruoli. Parla di uguaglianza e ne rintraccia la storia nelle pratiche
della solidarietà e nella dignità della persona. In questa fittissima
tessitura, l’amore è un «rapporto sociale», mentre la sua tensione
singolare «a bassa istituzionalizzazione» spinge a creare mondi nuovi.
Questa può essere considerata una risposta all’invocazione di Auden: «La
verità, vi prego, sull’amore».
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