Ogni crisi (dal greco antico κρίσις, “discernimento, separazione, giudizio” ma anche “punto di svolta”, a sua volta dal verbo κρίνω, “separare, scegliere, decidere”) dovrebbe essere colta come occasione per vedere con occhi diversi, aprirsi a nuove opzioni. Mi pare che invece gran parte dei problemi causati dalla pandemia si sia cercato di risolverli tornando il prima possibile a "tutto come prima", senza neanche mantenere le buone abitudini come la mascherina, e vedo un metodo uguale di fronte ad una possibile escalation di violenza nel conflitto ucraino e ad un'eventuale crisi energetica: nessuna innovazione, nessun metodo diverso, nessuna intenzione di provare strade che portino ad un altro risultato. Solo un tentativo di perpetuare un'abitudine, un "si è sempre fatto così". Un tentativo di tornare in fretta e furia sulla strada conosciuta, per esempio l'invio immediato di armi, o la necessità di separare le famiglie bloccando gli uomini ucraini tra i 18 e i 60 anni nel loro Paese dando per scontato che chi è nato con un pene sia disponibile a sparare (?). Persino di fronte all'ipotesi di una crisi energetica si è subito pensato di riaprire 7 centrali al carbone, come non avessimo mai parlato di transizione ecologica: troppo faticoso pensare di riaffrontare il problema da un altro punto di vista, troppo complesso pensare di diversificare e andare verso la cura dell'ambiente. Evidentemente meglio utilizzare la guerra come strumento per dire "cancelliamo tutte le battaglie pregresse" e rimettere in campo i soliti metodi.
Esattamente come avvenuto con la pandemia, nel momento in cui qualcosa interviene e dà l'opportunità ai vecchi metodi e al potere costituito di riprendersi i suoi spazi, parità di genere, diritti, transizione ecologica e tutte le battaglie degli ultimi decenni vanno a quel Paese. Persino la cultura oggi è diventata uno strumento politico, con direttore d'orchestra e soprano impossibilitati a lavorare perché non volevano prendere una posizione politica, la giovanissima italiana ballerina del Bolshoy che decide di restare a Mosca che sembra un'aliena (perché mai dovrebbe rientrare?), e ieri persino la denuncia su Instagram di un docente della Bicocca a cui viene comunicato che il suo corso su Dostoevskij non d'ha da fare. Per ragioni di opportunità, dichiara inizialmente l'Università, poi quando dai social media si scopre che il politically correct non era quello che sembrava, l'Università ritratta e peggiora la situazione, inventando una sorta di necessità di riequilibrio delle posizioni, inserendo autori ucraini nel corso su Dostoevskij, manco fosse una campagna elettorale con par condicio!
"Il cielo era così stellato, così luminoso che, guardandolo, non si poteva fare a meno di chiedersi come è possibile che sotto un cielo così possano vivere uomini senza pace" |
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