foto da La Repubblica |
Da "non puoi parlare di privacy se sei vestita sexy" riguardo all'abbigliamento di Diletta Leotta a "vestita così se l'è cercata" riferito a tanti casi di violenza sulle donne, il passaggio è breve.
La celebre conduttrice di SKY, classe 1991, ieri sera ha parlato a Sanremo riguardo al cyberbullismo e alla privacy online, raccontando anche un episodio di violazione dei dati personali (presi dal suo cloud) da lei subìto. Una ragazza giovane, sveglia e preparata, e sì, anche bella: che non è una colpa.
Ma a quanto pare la cosa ha suscitato scalpore e la necessità, per molti, di togliere autorevolezza alle sue parole. Cosa c'entra la privacy sul web e il serio problema del cyberbullismo con l'abbigliamento? Nulla. A meno che non vogliamo tornare alla preistoria e all'uomo che se vede o intravede allora .. a tutto è autorizzato. A meno che non vogliamo buttar via anni di battaglie per l'emancipazione femminile. Ora io comprendo che in un'ottica di femminismo la donna non deve sentirsi obbligata a spogliarsi per apparire, ma giriamo il ragionamento al contrario: a un uomo semivestito in un contesto in cui è previsto che lo sia, verrebbe contestata una presunta non autorevolezza su un tema specifico per via dell'abbigliamento? Non credo proprio. La giovane donna oltre che brillante è nativa digitale ed è stata essa stessa vittima di un caso di cyberbullismo che ha fatto storia, e che sta facendo anche storia di giurisprudenza riportando il concetto di violazione della privacy e appropriazione indebita dei dati a quello che è: un reato; grazie al fatto che la giovane donna ha fatto subito denuncia per le foto private divulgate senza il suo consenso in seguito ad hackeraggio del suo cloud. La conduttrice non necessita di giustifiche per il suo abbigliamento elegante e splendidamente sexy, necessita di uno sguardo meno arrapato sul corpo e di un ascolto dei contenuti di ciò che ha detto: è utile a tutti. Così come è utile a tutti comprendere che nel nostro sistema giudiziario, per fortuna, esiste una netta distinzione tra chi ha commesso il crimine - qualunque esso sia - e la vittima, per cui creare una racconto diffuso secondo cui se la vittima non ha tenuto il comportamento desiderato da altri è un po' meno vittima non fa parte del nostro ordinamento giudiziario. Questo vale per il pedone investito, per la vittima di stupro, per la vittima di un furto o rapina: è importante che si diffondano informazioni chiare sul fatto che chi ha subito il reato non è in alcun modo colpevole, se non vogliamo tornare al medioevo. Tra l'altro, nel caso specifico del cyberbullismo, trattandosi di un tema relativamente recente, è necessario anche che chi non utilizza in modo abituale il web e non ha competenze specifiche si ponga all'ascolto anche per sviluppare insieme soluzioni che funzionino e che tengano conto dei comportamenti reali delle persone e delle abitudini più diffuse.
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