Sta facendo discutere in questi giorni la nuova proposta della Lega Nord di favorire la possibilità per le donne incinte di portare a termine la gravidanza e poi dare in adozione il neonato, invece di abortire. Vi svelo un segreto: oggi è già possibile farlo non occorre una legge apposta! E chiedere a una donna di portare a termine una gravidanza non voluta e poi lasciare il bambino è una concezione della donna molto simile a quella dell'utero in affitto, con in più la negazione del diritto all'aborto previsto dalla legge 194.
Ma pare che gli autori di questa proposta di legge non abbiano idea di quali siano le motivazioni, reali, concrete, calate in un contesto di contingenza e soggettivo, che spingono le donne a scegliere la via dell'interruzione di gravidanza. Allora forse occorre riepilogare le motivazioni principali, in modo che si possa comprendere appieno l'assurdità giuridica ma anche l'inapplicabilità pratica ed operativa di questa proposta.
I fattori principali che portano una donna a fare questa scelta, sono di 3 tipi:
1) problema economico: molti casi sono di donne di 40 anni al 3° o 4° figlio, che chiaramente non potrebbero portare a termine la gravidanza comunicandolo al mondo e agli altri figli (immaginate una mamma che va dagli altri figli dicendo "non ci sono soldi, quindi regaliamo il fratellino a qualcun'altra" dopo che i bimbi/ragazzi hanno visto il pancione etc), ma si trovano impossibilitati, per il bene dei bambini che già stanno crescendo, a suddividere ulteriormente il budget famigliare; donne che hanno problemi lavorativi, contratti precari (perderebbero comunque il lavoro o i clienti portando a termine la gravidanza), una relazione a distanza che comporterebbe il fatto che uno dei due genitori del bambino debba lasciare il suo contesto sociale per portare avanti la famiglia insieme, etc. Il problema economico può essere semplicemente essere l'avere la consapevolezza che non c'è un aiuto gratuito da parte dei genitori o altri famigliari e che non si hanno le risorse per un nido, ma passa anche e soprattutto dall'aspettativa di maternità e dalla tipologia di lavoro che si sta svolgendo.
2) l'uomo con cui si è fatto il figlio: dalla casistica in cui la donna ha subìto uno stupro, al padre del bambino che non è il marito/compagno e la donna non vuole far sapere l'esistenza della relazione, o se il padre del bambino è un uomo sposato con un'altra o ha già altri figli e non può esporsi o riconoscere il bambino, o ogni caso in cui rendere pubblica la gravidanza sia di qualunque pericolo per la vita e il futuro della madre, del padre, dell'altra famiglia coinvolta.
3) l'impossibilità a vivere la maternità in tutti i suoi aspetti: ragazze di 15-16 anni, o poco più che adolescenti, che ancora studiano, totalmente dipendenti economicamente da altri, o donne inserite in una rete sociale in cui viene dato per scontato il matrimonio in caso di gravidanza o la rinuncia a tutta una serie di possibilità.
In tutti questi casi, portare avanti la gravidanza è ovviamente impossibile e la soluzione principale è solo una: contraccezione consapevole e gratuita, per tutte.
Poi esiste un problema politico più ampio che si potrebbe affrontare se volessimo "risolvere" il problema della denatalità, ovvero: chiederci se, con 7 miliardi di persone su questo pianeta, la denatalità sia davvero un problema, e rendere culturalmente spontanea la cogestione dei figli da parte di entrambi i genitori oltre alla necessità di impostare un percorso di medio-lungo periodo per superare il gender gap sui luoghi di lavoro, per quanto riguarda i salari e sicuramente anche l'apertura di più asili nido, meglio strutturati, con orari più flessibili. Tutto ciò non toglie il fatto che la proposta di legge sopracitata non tiene conto di un dato di realtà e manca totalmente nelle fondamenta ovvero nella possibilità effettiva per la donna di essere considerata al pari di un uomo soggetto attivo delle scelte che compie per sè e per le persone che ama.
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