lunedì 20 ottobre 2014

Cultura: Il motore dello sviluppo. Un cambio di passo per il Paese.

Cultura: Il motore dello sviluppo. Un cambio di passo per il Paese. | PD - Gruppo della Camera


"La diffusione della cultura
è una precondizione della democrazia. La comprensione dei beni
artistici e paesaggistici e del loro valore è la chiave della loro
difesa. Non esiste contrasto tra tutela e valorizzazione.
Con la cultura si mangia, si fa il pane e soprattutto si semina il grano. La cultura non è un giacimento da sfruttare ma un campo da coltivare perché dia i suoi frutti."

Una grande occasione di incontro e confronto con i massimi esperti del settore sabato 25 ottobre in Villa Reale a Monza. 

giovedì 16 ottobre 2014

Alcuni dati sui lavoratori italiani.


Totale lavoratori in Italia: 
24.732.598 a tempo indeterminato (non tutti protetti da art.18 visto che in alcune aree ci sono molte piccole imprese che mandano avanti l’economia)
3.348.124 precari di vario genere
2.905.433 disoccupati  
fonte qui.

Iscritti alla CGIL (anno 2013, fonte qui)
lavoratori 2.698.012 di cui NIDIL (precari vari) 67.632 
pensionati 2.988.198
totale 5.686.210 
- 0,46 % rispetto all'anno precedente secondo me sono solo i pensionati che sono morti nel corso dell'anno.
Non sono proprio sicura che la Camusso e Landini rappresentino gli interessi di tutti i lavoratori. Forse di una parte di essi.

Iscritti alla CISL (sempre per l'anno 2013, qui trovate i dati completi)
lavoratori 2.311.276 di cui somministrati autonomi atipici: 43.796
pensionati 2.006.515
totale 4.372.280 (sì i conti non tornano perché c'è una piccola categoria speciale) 

Ora quello che io vedo è che sommando i lavoratori iscritti ai due sindacati maggiori (quasi tutti a tempo indeterminato analizzando i dati nel dettaglio) si hanno meno di 5 milioni di persone su 28 milioni di lavoratori che in qualche modo contribuiscono allo Stato, il che significa che anche se i sindacati hanno più potere contrattuale chiaramente non rappresentano tutti i lavoratori, ma ce ne sono altri che non hanno voce. Che non hanno potere contrattuale. Che per la tipologia stessa di lavori che svolgono probabilmente non ha neppure senso che si uniscano in una macrocategoria.
Comunque, il cambiamento dovrebbe avvenire in modo più blando e dovrebbe essere un cambiamento prima nella testa delle persone e poi nella loro vita, un cambiamento imposto genera sempre un qualche scontento e molte persone sono impreparate a vedersi in altri ruoli, a formarsi, reinventarsi. Ciò non toglie che qualora lo facciano potrebbero comunque ritrovarsi ad avere una vita migliore della precedente, magari non subito ma sicuramente la possibilità di interpretare la flessibilità come un'opportunità e non come un handicap è qualcosa che soprattutto le persone giovani dovrebbero interiorizzare senza paura. 

martedì 7 ottobre 2014

Migrantes: Presentato il Rapporto Italiani nel Mondo 2014

Oltre 4 milioni e mezzo gli italiani residenti all’estero, più di 94 mila emigrati nell’ultimo anno

La Fondazione Migrantes ha presentato oggi, 7 ottobre, a Roma, il Rapporto Italiani nel Mondo 2014 (ed. Tau). Giunto alla nona edizione, il RIM è uno strumento culturale che si propone di trasmettere informazioni, nozioni, conoscenze sull’emigrazione italiana del passato e sulla mobilità degli italiani di oggi ad un pubblico vasto con un linguaggio semplice e immediato.
Per una maggiore comprensione delle partenze di oggi dall’Italia, che hanno raggiunto nel 2013 il numero di 94.000 persone – cifra superiore ai flussi dei lavoratori immigrati in Italia -, in questa edizione, oltre i dati del consueto database centrale dell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, si sono analizzate e descritte anche le iscrizioni all’AIRE con la sola motivazione dell’espatrio avvenute nel corso del 2013.
Questi dati, insieme alle riflessioni sull’emigrazione interna, sulla mobilità per studio e formazione e dei ricercatori italiani, dei frontalieri nel Canton Ticino e il confronto con gli spostamenti degli italiani nell’ambito dei principali paesi europei, offrono un quadro articolato sul significato della mobilità italiana di oggi, sulle sue caratteristiche, sui trend che segue e sulle novità che emergono.
La prospettiva storica è prerogativa fondamentale di questo annuario soprattutto perché affiancata alla riflessione sull’attualità con indagini non solo su specifiche situazioni territoriali di partenza e di arrivo, ma anche sull’idea che i media trasmettono della mobilità, il desiderio di partire e quello di tornare dei nostri connazionali. Alle indagini seguono le riflessioni su temi particolarmente attuali, che vengono poi riferite al territorio attraverso le testimonianze di esperienze contemporanee.
Segue lo Speciale Eventi in cui la prima parte è dedicata alla Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato e la seconda che, in previsione dell’Expo di Milano del 2015, ospita una serie di saggi che testimoniano sia la storica presenza della Chiesa alle Esposizioni nazionali e internazionali (i vescovi Bonomelli e Scalabrini, la madre Cabrini) che l’impegno e il legame dell’Italia emigrata con la ristorazione e il cibo (l’identità culinaria, la globalizzazione di piatti tipici e la prospettiva linguistica di italianismi e marchi associati al mondo della nutrizione e il contributo italiano alla cooperazione allo sviluppo nel settore dell’alimentazione).
Il caso italiano è emblematico: la diaspora del secolo della grande migrazione (1876-1976) è stata il più importante veicolo di diffusione di un modello alimentare che è penetrato nelle cucine dei molti paesi di destinazione. La cucina italiana non è stata esportata solo da una minoranza di professionisti dell’arte culinaria, ma è stata creata nei molti luoghi raggiunti dall’emigrazione dei connazionali nella dimensione privata, largamente inconscia e trasmessa oralmente.
Nella parte finale del volume, la sezione degli allegati in cui si è voluta inserire, a corredo delle numerose tabelle riassuntive, la bibliografia ragionata delle pubblicazioni editate dalla chiusura editoriale del Rapporto Italiani nel Mondo 2013.
Nel mondo sono 4.482.115 i cittadini italiani residenti all’estero iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) al 1° gennaio del 2014.
L’aumento in valore assoluto rispetto al 2013 è di quasi 141 mila iscrizioni, il 3,1% nell’ultimo anno. La maggior parte delle iscrizioni sono per espatrio (2.379.977) e per nascita (1.747.409).
Lungo il corso del 2013 si sono trasferiti all’estero 94.126 italiani – nel 2012 sono stati 78.941 – con un saldo positivo di oltre 15 mila partenze, una variazione in un anno del +16,1%.
Per la maggior parte uomini sia nel 2013 (56,3%) che nel 2012 (56,2%), non sposati nel 60% dei casi e coniugati nel 34,3%, la classe di età più rappresentata è quella dei 18-34 anni (36,2%). A seguire quella dei 35-49 anni (26,8%) a riprova di quanto evidentemente la recessione economica e la disoccupazione siano le effettive cause che spingono a partire. I minori sono il 18,8% e di questi il 12,1% ha meno di 10 anni. Il Regno Unito, con 12.933 nuovi iscritti all’inizio del 2014, è il primo Paese verso cui si sono diretti i recenti migranti italiani con una crescita del 71,5% rispetto all’anno precedente. Seguono la Germania (11.731, +11,5% di crescita), la Svizzera (10.300, +15,7%), e la Francia (8.402, +19,0%)
Dall’Italia dunque non solo si emigra ancora, ma si registra un aumento nelle partenze che impone nuovi interrogativi e nuovi impegni. Ed è questo l’impegno che la Fondazione Migrantes si è imposta soprattutto alla luce degli ultimi sviluppi e dell’incremento numerico degli spostamenti che riguardano oggi migliaia di giovani, mediamente preparati o altamente qualificati, con qualifiche medio alte o privi di un titolo di studio.
Solo quando ci si convincerà delle opportunità che un italiano ha fuori dell’Italia di arricchire e valorizzare il Paese in cui è nato, probabilmente si capirà cosa significhi effettivamente parlare di “risorsa migrazione”, dove per ricchezza non si intende solo quella economica, ma anche tutto ciò che di positivo ritorna in termini culturali.
Per oltre un secolo l’associazionismo italiano all’estero ha supplito all’assenza dello Stato e sovente ancora oggi è rintracciabile questa peculiarità di mutuo soccorso tra i membri, una tradizione di solidarietà reciproca che è entrata a far parte di un modo di essere e di operare dell’italiano fuori dei confini nazionali. Dopo un lungo periodo di riflessione, 16 Federazioni nazionali delle associazioni degli italiani all’estero, assieme al Coordinamento delle consulte regionali dell’emigrazione, hanno lanciato il percorso di avvicinamento agli Stati Generali dell’Associazionismo di emigrazione che si svolgerà all’inizio del 2015.
Resta, inoltre, prioritario il rinnovo degli organismi di rappresentanza degli italiani all’estero e l’effettivo ripensamento, in termini di migliore razionalizzazione, degli interventi a favore dei connazionali fuori dei confini italiani sia per il loro sostegno se in condizione di deprivazione e disagio, che per la promozione della lingua, della cultura italiana e del made in Italy all’estero e per le opere di internazionalizzazione.

lunedì 6 ottobre 2014

I pensieri lunghi di Enrico Berlinguer

Una grande lezione di storia, di politica, di vita quella offertaci da Aldo Tortorella sabato pomeriggio a Monza. Un omaggio appassionato e vivo al leader del Partito Comunista, un ricordo disincantato e vero da parte di un amico che è stato responsabile Cultura nella segreteria di Berlinguer e che ha saputo sottolinearne l'unicità e la grandezza storica. Un incontro all'interno dell'iniziativa "NOTTE ROSSA 2014" organizzata dalla fondazione Quercioli. Sicuramente una grande occasione di approfondimento culturale e di riflessione sui cambiamenti della società e sulla condizione della democrazia oggi, e del valore alto del compromesso storico ricordata anche dall'on. Roberto Rampi che ha partecipato all'iniziativa.

La riforma della scuola: dite la vostra

Amici e lettori, è in corso una consultazione sulla riforma della scuola a cui potete partecipare per dire la vostra.
Si tratta di un questionario suddiviso in 7 sezioni, molto articolato e dettagliato per avere un'opinione sulle singole tematiche.
La consultazione è aperta fino al 15 novembre, non è obbligatorio finire tutte le domande in un unico momento ma potete rientrare a rispondere successivamente. Questo per darvi la possibilità di leggere nel dettaglio le 136 pagine della proposta anche in momenti separati prima di dare un'opinione.
Siete tutti invitati a partecipare.

domenica 5 ottobre 2014

La febbre del lunedì mattina

Uno studio della CGIA di Mestre che si riferisce al 2012 presenta i dati sui certificati per malattia suddivisi per regioni italiane. La media italiana dei giorni di malattia richiesti è di 17,71 giorni all'anno, per un totale di 106 milioni di giornate perse distribuite fra 6 milioni di lavoratori. Gli altri hanno un forte sistema immunitario.
I più sani in Veneto e Trentino Alto Adige, rispettivamente con una media di 15,5 e 15,3 giorni di assenza.
Neve, freddo, strade ghiacciate e alluvioni a quanto pare hanno rinforzato il sistema immunitario.
Insomma, quando vi dicono "pensa alla salute" d'ora in avanti sarà indispensabile una ciaspolata quotidiana invece di una passeggiata sotto il sole.
Malissimo invece il caldo e il mare della Calabria, dove la media di assenze è di 34,6 giorni a testa e nel settore privato è al 41,8 giorni (il giorno di riposo infrasettimanale non si nega a nessuno insomma). Molto cagionevoli anche i siciliani con una media di 19,9 giorni di malattia all'anno a testa e i campani una media di 19,4 giorni, seguono a ruota i pugliesi con 18,8 giorni. La costiera amalfitana è leggermente più apprezzata del Gargano per le gite nei giorni feriali.
Un dato curioso: su 13.365.713 certificati di malattia presentati nel corso dell'anno 2012, il 30,7 % (più di 4 milioni) sono stati presentati di lunedì. La febbre del sabato sera l'abbiamo lasciata alla generazione precedente, quella che faceva le battaglie per i diritti, ora l'abbiamo trasferita in una fascia oraria più consona al riposo dopo i lavori fai-da-te in casa e giardino dei giorni festivi.
E pensare che mio nonno è andato per 20 anni in bici a Paderno Dugnano e faceva pure i turni di notte. Ma come dicono alcuni vecchi, "non c'è più la nebbia di una volta".

giovedì 2 ottobre 2014

"io so chi sei": sicura?

Una di quelle situazioni imbarazzanti in cui ci si imbatte:

Vecchina: "ma io lo so chi sei tu!"
Io: "ah, ok" (nella mia testa: bello, perché io invece non lo so quindi è bellissimo che tu abbia la supponenza di sapere chi sono io)
Vecchina: "tu sei la nipote di tua nonna"
Io: "... beh sì"

Sfido chiunque a negare di essere il nipote di sua nonna. Abbastanza tautologica come affermazione ...
Comunque la riflessione che mi ha accompagnato nel pomeriggio di oggi e a cui non ho trovato soluzione è: abbiamo una definizione univoca del verbo conoscere? Conoscere di vista, conoscere perché si è andati a fondo a scoprire la natura dell'altro, conoscere un punto di vista su un fatto, conoscere più punti di vista su un fatto, conoscere in senso biblico?
Quante volte pensiamo di conoscere qualcuno e in realtà conosciamo di quella persona solo qualche gossip, al 3° o 4° passaggio di passaparola, e spesso informazioni riassunte a cui mancano tutti i precedenti, le parole, gli sguardi, le comunicazioni non verbali, i toni di voce, le confidenze nei momenti bui?
Mi sono guardata intorno e ho osservato un po' più attentamente, quanto vociare! Quante persone che consideriamo di fiducia ci riferiscono presunti "fatti" che poi si rivelano in realtà opinioni di altri malinformati e che hanno trasformato e trasmesso le informazioni ricevute sulla base di filtri personali, oltre che di una grande sintesi.
In anni di studio delle lingue ma anche al liceo quando si facevano i temi, ricordo di aver fatto innumerevoli riassunti. E' un classico il riassunto, come il bigino, lo schema a fine capitolo del libro di storia etc.
La caratteristica principale del riassunto, della sintesi, del bigino, dello schema in fondo al capitolo, era sempre la stessa: la mancanza di descrizione della complessità, la mancanza di contesto, la mancanza di dettagli e di tutte le sfumature.
Ricordo ancora quando all'ultimo anno di liceo il nostro prof di storia e filosofia, fancazzista e sempre malato per finta, stufo di lavorare perché gli mancava poco alla pensione, ci disse che il pezzo dal 1939 al 1945 lo avrebbe saltato perché potevamo guardarcelo su un bigino in quanto erano solo fatti (?).
Fu un piccolo trauma. 
A questo elemento "sintesi-tutto in un tweet" aggiungiamo un effetto "telefono senza filo" e il gioco è fatto.
Comunque dopo tutta questa inutile riflessione, a chi dovesse interessare posso confermare che sono in effetti nipote di mia nonna.
Anzi per precisare di entrambe, anche di quella che la signora non conosceva.

mercoledì 1 ottobre 2014

La bella storia di Gaetano

Una storia bellissima, un papà di Santeramo (Bari) che passa tutta la sua giornata in auto fuori dalla scuola della figlia perché la ragazza è malata e ha bisogno di costante assistenza. Domanda provocatoria: se al posto dell'uomo ci fosse stata la donna, quindi una madre che rinuncia al proprio lavoro per assistere una figlia malata invece del padre, qualcuno si sarebbe accorto della bellezza del gesto? o meglio: qualcuno avrebbe pensato che non è scontato che si debba rinunciare alla propria professione per i figli in caso di malattia? Perché ho in mente casi di genitori in cui la donna ha dovuto rinunciare per un anno a lavorare per assistere la figlia gravemente malata ed è stato dato talmente per scontato, che alla domanda: "perché non l'ha fatto lui?" ero stata pesantamente criticata per una presunta incapacità di comprensione.

Il TFR in busta paga? Una fregatura.

"Meglio un uovo oggi che una gallina domani" si sente dire, ma se le uova non ci fossero più per nessuno poi?
A parte il fatto che:

- il trattamento di fine rapporto matura interessi nel corso degli anni, cosa che non accadrebbe riscuotendo subito
- la tassazione del tfr è diversa da quella dello stipendio, quindi bisognerebbe poi verificare che per volontà o errore non si finisca con un livellamento su una tassazione unica, che poi finisce con l'essere la più alta
- a scadenza di contratto, fa comodo avere un gruzzolo da spendere tutto insieme, anche fossero pochi mesi di lavoro, perché con quei soldi si tira avanti nei mesi tra un contratto e l'altro
- qualora una persona venisse licenziata, il tfr insieme alla buonuscita permette di avere una somma più consistente con cui una persone può almeno valutare di aprire un'attività in proprio, o se si tratta di 20 o 30 anni di lavoro anche magari di estinguere il mutuo.
- per le piccole aziende sostenere questo costo potrebbe tramutarsi in un boomerang, perché dovrebbe indebitarsi per pagare quel poco in più di stipendio, o rinunciare magari ad altri investimenti. Non credo che in un periodo come questo sia sano chiedere alle aziende di rivolgersi sempre più alle banche, un'impresa che vuole stare in piedi da sola non deve aver bisogno delle banche per sopravvivere, è parte di un sistema economico malato che va corretto e che deresponsabilizza gli imprenditori incapaci senza necessariamente andare a premiare quelli capaci.

Detto questo, credo che il problema fondamentale sia che come al solito in Italia fatta la legge, trovato l'inganno, e qui l'inganno a me sembra molto visibile:
un datore di lavoro (per es. nel CCNL metalmeccanico) che sa che pagandoti un 4° livello finisce col darti 60 € in più al mese, il prossimo giovane che assume lo mette al 3° livello invece che al 4°. Punto. E già sappiamo che a molti giovani non è mai concesso il passaggio dal 5° al 6° livello per via di tutti gli anziani precedenti che una volta raggiunti il 6° e 7° livello se ne sono approfittati, lavorando poche ore e non facendo straordinari nonostante quei livelli avessero una grande maggiorazione di circa 200 € di differenza tra il 5° e il 6° prima degli 80 € di Renzi che per fortuna hanno livellato un po' aumentando il 5° e lasciando il 6° così com'è perché il limite dei 26.000 € lordi all'anno cade proprio tra i due.
Ora ci manca solo che i datori di lavoro inizino ad assumere giovani al 3° o al 4° livello, per mansioni talvolta anche molto più utili al fatturato dell'azienda di chi stabile e fancazzista rimane ai piani alti ...