sabato 2 maggio 2015

Impariamo a dire no alla violenza ... prima che esploda

Facile disconoscere la violenza quando si fa esplicita, quando diventa distruzione, parole da allucinati come quelle ascoltate oggi in bocca ad alcuni manifestanti. Facile esprimere sempre solidarietà con le vittime di qualcosa, proprio in quanto vittime. Guardiamo schifati i giovani arrabbiati col sistema come non fossero roba nostra, come fossero un problema di un'altra società, di una comunità di cui non ci sentiamo parte. E invece non è così: siamo sempre noi, italiani, europei, uomini o donne, giovani o vecchi. Le storie che abbiamo raccontato ai bambini, i miti che abbiamo creato, il più forte che vincerà a prescindere e il rilievo dato alle manifestazioni violente, la scia di polemiche che sempre ne segue e la farsa di tutte le belle facce che si dissociano una dopo l'altra. Non mi dissocio, vorrei capire. Quali sono le domande, le risposte, perché sono state scelte queste modalità comunicative. Come prevenire la violenza in ogni sua forma non solo in quella più evidente ma agli albori, senza mai assuefarsi ad essa. Come imparare a coltivare rose e non baobab, per dirla con il Piccolo Principe. Forse trovando un dialogo prima, molto prima, anni prima. Forse non ritenendosi sempre e solo più forti o più deboli ma provando invece ad analizzare le cause che fanno sì che alcune persone non trovando risposte in un certo sistema non trovano una via d'uscita dal sistema, un modo di vivere alternativo, una strada sostenibile per la società per essere se stessi. 
Provando a chiedersi chi ha fatto sì che in un'esposizione universale in cui si parla di alimentazione e di sostenibilità ci fossero Mac Donald in versione gigante e la Coca Cola come sponsor, se non c'era insomma un modo diverso di costruire questo progetto - nelle intenzioni bellissimo - oggi ancora disorganizzato, con personale a random che non sapeva dove andare, autisti della navetta che non conoscono il loro stesso percorso e con i monitor non funzionanti, guardie all'ingresso che non fanno passare i dipendenti perché non sanno bene quali sono nè da chi siano assunti, mappe dubbie - il people mover cioè la navetta interna sulla mappa pare essere esterna, anche a giudicare dal quantitativo di persone che la attendono a delle fermate fantasma - annunci del treno che porta a Rho Fiera in inglese raffazzonato,  insomma un cantiere ancora aperto. Quindi i ritardi tutti giustificati anche se non si sa bene dovuti a cosa, il cibo fast food passato come esempio di cibo da esporre, come modello, e nessuno nei sette anni precedenti ad oggi ha pensato di prevenire in qualche modo determinati comportamenti violenti ... rimango perplessa. 
In un dialogo si ascolta l'altro. Siamo sicuri che quando qualcuno ci parla di cibo a chilometro zero, di agricoltura biodinamica, di prodotti sostenibili, li stiamo davvero ascoltando? Per me cibo sostenibile è comprare il miele dall'agricoltore, andare a mangiare in un agriturismo, verificare l'origine dei prodotti e se possibile le condizioni di lavoro di chi produce (marche di caffè e tè che permettono di sapere dove si trovano le piantagioni da cui si riforniscono), ragionare se abbia un senso comprare tutti acqua minerale invece di bere quella del rubinetto sapendo che le multinazioni dell'acqua stanno cercando di creare un business e che questo potrebbe portare a morire di sete intere popolazioni in altre parti del mondo. Comprare mele direttamente dal coltivatore, scegliere uova di galline allevate all'aperto, evitare gli imballi di plastica o se non possibile differenziale nei rifiuti tutte le parti dell'imballo pensando che ogni gesto che io faccio non è solo mio ma per capirne l'impatto va moltiplicato per un numero di consumatori a 9 zeri. Sì vale anche per le bellissime bustine di carta che contengono il tè e che tutti buttano nel secco invece che nella carta. 
Mi chiedo se gli organizzatori di Expo abbiano ascoltato chi voleva magari esporre concretamente un modo di alimentarsi sostenibile, valutando e confrontando le diverse idee di alimentazione, ripensando al nutrimento e alla terra non come business o sfruttamente ma come fonte di vita in continua evoluzione sulle basi di ciò che seminiamo. 
E mi chiedo se ci sia stata la volontà in fase di organizzazione di far sì che fosse un'occasione per tutti, ricchi e poveri, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, di costruire un nuovo modo di raccontare l'alimentazione in previsione di un futuro con un po' di crisi sì ma con cittadini più consapevoli. Ecco perché se il percorso è stato sinceramente e autenticamente costruito con l'intenzione di essere diretto al cittadino, è un peccato che ci siano dei giovani arrabbiati che non sono stati coinvolti per tempo, ma se è stato costruito per essere diretto al consumatore, allora è perfettamente normale e fa parte dei ruoli sociali che l'antagonismo si esprima in modalità anche non condivisibili.

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