lunedì 29 febbraio 2016

L'utero in affitto, l'aborto e come altri ragionano sul corpo della donna: impedire dopo o liberare prima?

Credo che da un certo punto di vista sia corretto non legittimare la mercificazione del corpo attraverso l'utero in affitto, ma al tempo stesso dovremmo provare ad immaginare sia cosa passa chi non può avere figli (anche coppie etero) e valutare soluzioni che permettano l'adozione dei tanti bambini che riempiono gli orfanatrofi in tutto il mondo in modo più snello e meno burocratico, ci sono famiglie che aspettano anni dopo che gli è stato assegnato un bambino. In questo senso vedo in modo molto positivo la proposta di portare all'esame delle camere una legge sulle adozioni, non con lo scopo di far sì che una donna partorisca per altri ma per far sì che i bambini che già sono nati e per svariati motivi non vivono con i loro genitori possano avere una casa. 
La possibilità di adottare un bambino sicuramente risolverebbe il problema per le coppie omosessuali, per le coppie di fatto e conviventi senza che siano obbligate a sposarsi e per le donne single che non volessero scegliere un partner in modo casuale, ma non risolverebbe il problema culturale delle tante coppie che vivono in zone dove il giudizio della gente pesa più delle leggi. Si ascoltano spesso storie di donne che vengono "giudicate" dal loro paesello, dalle piccole comunità in cui vivono, se non riescono a rimanere incinte o se per qualche motivo medico non riescono mai a portare a termine una gravidanza. Il giudizio è sul corpo femminile e sul presunto "dovere" della donna di essere prima di tutto madre. Una specie di vocazione, che se non c'è diventa pegno da pagare alla società per poter parlare della vita con gli altri tipo "tu non sei madre non puoi capire" o altri sterotipi di genere come "una donna ha partorito può superare qualunque difficoltà della vita". Ecco non è proprio così. Il mondo è pieno di donne che hanno partorito e non superano comunque le difficoltà, anche se dichiarano di farlo per mantenere la facciata. Fa comodo a una parte della società raccontare la donna in questo modo, come una specie di dea della fertilità da stimare in quanto tale e da far sentire una fallita se non si sente tale. Forse la cosa più utile per evitare che una donna ricorra all'utero in affitto nel caso del "giudizio del paesello" sarebbe proprio rimuovere le cause che culturalmente spingono le altre donne a giudicare la "diversa". Non "impedire dopo", ma "liberare prima" la femminilità per quello che è.
Spesso noi donne tendiamo a far finta di sentirci parte di un'unica comunità femminile uguale in tutto il mondo, ma non è così. Non siamo tutte uguali. Non lo siamo perché essere donna definisce semplicemente l'essere in un corpo femminile, ma le distinzioni culturali e le possibilità di partecipare all'ascensore sociale che derivano dal corpo in cui siamo cambiano da Paese a Paese, talvolta persino da regione a regione all'interno dell'Italia. La distinzione tra l'essere donna e l'essere uomo non deve essere un discrimine per cui l'uomo a seconda della cultura di provenienza può fare quello che gli pare perché è nato in un corpo maschile, mentre la donna deve in qualche modo essere omologata per ruoli e doveri e presunta morale in ogni parte del mondo. 
Siamo semplicemente persone. Soggettivamente diverse, esattamente come lo sono gli uomini, ed esattamente come un uomo con la stessa possibilità di scegliere razionalmente se vogliamo e possiamo riprodurci e quando farlo. 
Detto questo, ci sono usanze e modi di intendere la genitorialità che si sono modificati culturalmente anche in Italia nel corso dei decenni e dei secoli, una volta per esempio si usava che una donna che non poteva o non voleva allattare desse il bimbo in balia ad un'altra. Noi oggi considereremmo probabilmente orripilante il fatto che un'altra donna debba continuare a produrre latte come una mucca per anni per allattare figli di donne ricche a pagamento, eppure in un'epoca in cui il latte in polvere non era un'opzione era un'abitudine diffusa e un vero e proprio lavoro fare la balia, e ovviamente c'era un problema di denaro perché una povera se non aveva latte vedeva morire il proprio bambino, una ricca assumeva una balia. A me soggettivamente nel qui ed ora della mia contemporaneità continua a sembrare un trattamento da mucca.
Al giorno d'oggi troviamo assurdo che una donna non possa accedere ai mezzi anticoncezionali e alle informazioni al riguardo, fino a qualche decennio fa le donne facevano figli in quantità da animale eppure non era prevedibile una così rapida diffusione della ricerca scentifica e dell'idea ormai in noi connaturata della genitorialità consapevole. Una volta esisteva anche l'abitudine per le donne povere di abbandonare i bambini in un luogo sicuro (vicino a una chiesa o a un orfanatrofio) se non avevano i mezzi per crescerli, oggi a momenti impediscono pure alle adolescenti di lasciare il bimbo in ospedale in modo anonimo nonostante sia legalmente possibile partorire in modo anonimo - quindi usufruendo del servizio medico per non mettere a rischio la vita della partoriente né del bambino e allo stesso modo preservando la privacy della donna che potrebbe avere seri problemi se in futuro si dovesse scoprire di quel figlio.
Allo stesso modo io penso che se una donna se la sente e non ha paura - del parto etc - e magari ha già figli suoi da crescere e mantenere e proviene da una comunità in cui avrebbe come alternativa quella di prostituirsi o di vivere di stenti tutta la vita (sua e delle persone che ama), se viene adeguatamente assistita medicalmente e psicologicamente possa scegliere come guadagnare i suoi soldi pur sempre entro i termini di legge dello stato in cui si trova e sempre in modo non "fai-da-te" e non previo sfruttamento. L'importante è che sia una scelta e che sia un servizio retribuito, senza nascondersi dietro a finto volontariato che chiaramente causerebbe solo irregolarità contrattuale e mancanza di tutela.
Se una madre volesse garantire ai propri figli (quelli nati dal suo amore per il suo partner) di andare all'università o di aprirsi un'attività e per fare questo volesse guadagnare tutto d'un botto una bella cifra? Le neghereste la possibilità di fare quello che meglio crede, nei termini di legge, per dare quel futuro ai suoi figli? Come mai? Perché è troppo lontano da noi? Perché tanto non ci riguarda? O perché consideriamo "amore" una specie di croce da portare secondo la morale cattolica per cui lo schema è: 
- una se rimane incinta si deve tenere il bambino, se lo rifiuta non accetta la vita (casualmente dimenticando che l'uomo fa quello che gli pare, prima, durante e dopo)
- se non riesce a rimanere incinta in modo naturale o non vuole non è normale (ovviamente nessuno sa dare una definizione di questa presunta normalità né è interessato a farlo ma è uno status quo che serve a mantenere meglio controllata la società e il potere maschile)
- se pensa di partorire un bimbo in una clinica strapagata non è degna di essere madre (però il bimbo se lo deve tenere e non può cederlo ad altri)
- però se fa 10 figli senza precauzioni e cresce le figlie femmine represse va bene perché è la sua cultura poverina
Se non è la nostra vita, lasciamo cadere il giudizio e proviamo a vedere invece cosa si può fare per migliorare le scelte andando in direzione di più diritti per tutti e non di più limitazioni. Non giudichiamo perché ci sono delle situazioni che non abbiamo vissuto e non possiamo sapere che cos'è per un'altra donna quello che ha un significato per noi e perché abbiamo l'abitudine di pensare di essere autorizzati a scegliere per gli altri. Non lo siamo. Gli altri sono altri, non siamo noi. Hanno altre paure, altri valori, altri sogni, un'altra storia che noi non abbiamo percorso. E' bellissima la curiosità umana di comprendere gli altri e di provare ad approfondire e capire, ma non per tutti noi è la priorità di vita e non tutti possiamo capire tutto: la ricerca e la volontà di entrare nei meccanismi mentali ed emotivi altrui sono tanto più proficui quanto più supportati da una reale voglia di imparare e di amare più profondamente l'umanità in tutte le sue sfaccettature e non dal desiderio di accertarsi che nessuno cambi la realtà attuale e che nessuno tocchi le regole che fanno comodo a noi.
Aggiungo su questo punto una nota sulla 194: ho letto recentemente di un inasprimento delle sanzioni per chi ricorre ad aborti clandestini. (Qui l'articolo: l'aborto è un servizio medico ma è trattato come un problema morale). Anche qui il problema non è impedire qualcosa, ma creare le condizioni perché l'esigenza non si verifichi, permettendo un servizio sanitario adeguato.
L'anno scorso una ragazza che conosco, 22 anni, studentessa di Milano con storia a distanza da pochi mesi con un uomo molto più grande di lei e proveniente da un ambiente sociale e culturale molto diverso dal suo, ha scelto di ricorrere all'interruzione di gravidanza. Ha dovuto girare 5 ospedali di Milano per trovarne uno dove non ci fossero obiettori e dove le dessero un appuntamento in tempo utile entro il 3° mese. Nei primi due ospedali dove è stata, l'hanno accolta nell'ordine: 
- una psicologa che le ha detto che sicuramente avrebbe potuto continuare a studiare e che il bimbo lo avrebbe cresciuto bene sua madre, il tutto senza aver sentito né la madre né il ragazzo
- una dottoressa che le ha detto che se il suo ragazzo voleva tenerlo era già molto fortunata e che quindi non s'aveva da fare, il tutto senza averli mai visti insieme e dopo poche domande solo a lei
Credo che si dovrebbe andare in una direzione diversa di prevenzione di questo fenomeno incontrollabile dell'obiezione di coscienza che diventa impossibilità a usufruire di un servizio: no obiettori tra i ginecologi, dopo 6 anni di medicina prima di scegliere la specializzazione un medico sa già a cosa va incontro, tra l'altro la specializzazione in ginecologia e ostetricia è una di quelle più gettonate quindi non mancherebbero gli iscritti. Non è un'opzione che uno scelga un lavoro dopo averci pensato 6 anni e poi dichiari che una parte di quel lavoro non la vuole svolgere: cambia mestiere. L'opinione personale non è un servizio medico. Detto questo, inasprire le sanzioni può solo causare il fatto che se uno ricorre ad un aborto clandestino in caso di complicazioni non si rivolga al personale medico per chiedere aiuto, tanto più se deve pagare multe di importi che nessuno dei suoi famigliari avrà neppure a disposizione materialmente. 

sabato 20 febbraio 2016

Principi e criteri direttivi della legge delega di riforma del finanziamento pubblico dell'editoria

Il deputato Roberto Rampi (Pd) in un'intervista a Radio Radicale di Federico Punzi ci spiega i principi e i criteri direttivi della legge delega di riforma del finanziamento pubblico dell'editoria, licenziata questa settimana dalla Commissione Cultura della Camera e pronta per l'esame in aula.


G: Siamo con l’on. Roberto Rampi del PD che è relatore della riforma del finanziamento pubblico dell’editoria. Si tratta di una legge delega e in settimana la Commissione Cultura ha concluso l’esame del testo. Quando sarà discussa in aula e quali sono i principi cardine della delega?
R: Noi andiamo in aula da lunedì per la discussione generale, poi abbiamo i voti fissati in settimana dopo due provvedimenti che la precedono, e speriamo la prossima settimana di concludere. La legge nasce prendendo atto della difficoltà del settore e contiene una grande innovazione: si passa dai contributi per l’editoria al fondo per il pluralismo dell’informazione, cioè cambia lo scopo. Noi vogliamo occuparci della condizione di tante aziende e dei loro lavoratori che vivono in una situazione di difficoltà. Ma ci interessano in particolare perché legate a queste aziende che editano soprattutto piccole testate e giornali locali c’è un punto essenziale della democrazia, che è il diritto alla conoscenza e il diritto all’informazione. In tante aree del Paese se non ci fossero queste testate locali non ci sarebbe informazione, perché questo è un momento in cui tutti sappiamo cosa succede nel mondo ma sappiamo poco e tante volte sappiamo male quello che succede vicino a casa nostra. 

G: Ecco un’altra delle novità è che non potranno accedere ai fondi le testate di partito e dei movimenti.
R: Sì noi abbiamo cercato di lavorare a dei criteri di delega che uniformino il più possibile la condizione dell’accesso a questi contributi, e appunto l’idea è quella di superare intanto le vicende negative del passato che hanno danneggiato un principio importante. Oggi molti cittadini pensano che sia sbagliato dare contributi ai giornali, ai quotidiani e ai periodici perché sono rimasti colpiti dagli scandali dei quotidiani che non esistevano o di giornali che perché legati a questo o a quel gruppo politico riuscivano a prendere i contributi. Non deve essere più così. Noi pensiamo che con una riforma di questo tipo potrà accedere al contributo pubblico solo chi davvero svolge un’attività preziosa sul territorio, ha un certo numero di lettori e quindi è sostenuto dai cittadini, riesce a trovare risorse proprie ma senza un aiuto pubblico rischierebbe comunque di non farcela. Nulla vieta che queste realtà abbiano un’opinione, un punto di vista, delle tendenza, ma non c’è nessuna ragione per cui ci debba essere un trattamento particolare per un giornale di partito o di un movimento. 

G: Quindi diciamo che non c’è una vera e propria esclusione a testate che fanno riferimento a partiti e movimenti politici ma non sarà più questo un criterio per l’accesso al fondo.
R: Non è sicuramente un criterio da premiare come in passato è stato. Noi diciamo anche che è un tema da escludere nel senso che crediamo che si debba escludere il riferimento diretto. Non finanzieremo organi di partito. Ovviamente tutti i giornali hanno un loro punto di vista. Quindi ci saranno giornali che faranno più riferimento a una realtà o a un’altra. Ad esempio in questo momento dell’informazione italiana mi sembra che Il Fatto Quotidiano sia chiaramente ispirato contro il Partito Democratico e a sostegno del Movimento 5 Stelle, però non è l’organo di quel movimento. 

G: Un’altra esclusione se non sbaglio passa da un emendamento che esclude anche la grande editoria.
R: Sì abbiamo precisato in maniera molto secca per chiarire una volta per tutte alcune cose che temo anche la prossima settimana sentiremo in aula facendo riferimento ai milioni che vanno a giornali “amici del Governo”. Ora, ognuno valuti se i giornali sono amici o nemici, per me il pluralismo dell’informazione è un valore e non mi interessa. Credo che le voci debbano esserci tutte, di solito la stampa se fa bene il suo lavoro mette in discussione chi governa, e quindi va bene così. Ma detto questo i grandi giornali non prendono contributi pubblici, non ne devono prendere, non è questa la logica della legge, e noi in maniera molto esplicita e molto netta abbiamo detto che chi è legato a Spa non accederà a questi finanziamenti. 

G: Tra le fonti di finanziamento del fondo è prevista anche una nuova tassa a carico dei concessionari della raccolta pubblicitaria, giusto?
R: Sì non è una tassa a mio parere, è un contributo di solidarietà perché è tutto interno al mondo dell’editoria, quindi non sono soldi in più che vengono dati allo Stato ma si decide che una piccolissima parte di guadagni cioè lo 0,1% delle grandi società di raccolta pubblicitaria venga destinato appunto alle piccole testate locali, alla piccola editoria locale in una logica che è interna a un mercato e a un mondo dove chi riesce a reperire grandi risorse dia una mano e un aiuto ai più piccoli, ai più deboli, a quelli che rischiano invece di chiudere

G: Quanto pesa questo contributo sul totale del fondo?
R: Adesso la commissione bilancio sta facendo una valutazione tecnica, e noi probabilmente prima del voto in aula martedì avremo dei dati più di dettaglio. Bisogna raccogliere tutte le informazioni che ovviamente cambiano di anno in anno sui fatturati di queste realtà. Non è sicuramente questo il punto di svolta del fondo. Il grosso del fondo deriva intanto dai contributi già presenti oggi nella legge dello Stato che però vengono stabilizzati in questo fondo. Poi da una parte della plusvalenza del canone Rai che in parte è destinata all’abbattimento del debito pubblico, una parte a ridurre il canone a chi è in difficoltà. Era già stato previsto in legge di stabilità che una parte fosse destinata a un fondo per le tv locali. Le tv locali rientreranno in questo fondo per il pluralismo dell’informazione quindi una parte di questa plusvalenza servirà sia per le tv locali, sia differentemente per le testate locali periodiche, quotidiane, online e offline, per un pluralismo dell’informazione. 

G: Sono possibili ulteriori modifiche in aula sulla legge?
R: Credo che qualche modifica ci sarà ancora, anche perché noi abbiamo fatto un lavoro molto approfondito e molto condiviso in Commissione, abbiamo ascoltato numerosissimi esponenti di tutti i settori in audizione, abbiamo unificato due testi di legge diversi, che venivano dal Partito Democratico e da SEL, abbiamo raccolto contenuti e suggerimenti da tutte le forze politiche, anche dal Movimento 5 Stelle che si è detto da subito contrario alla legge ma che pure ha contribuito ad alcuni elementi di delega, e quindi l’atteggiamento verso l’aula è che ci sono ancora delle questioni che si possono precisare meglio, migliorare. Vedremo gli emendamenti che saranno presentati lunedì e tenteremo di recepirli, finora abbiamo fatto così.


giovedì 18 febbraio 2016

Manuale antibufala


Navigate, cliccate, date un'occhiata veloce, condividete ... titoli che attirano più dei contenuti, fretta e l'essere presenti senza esserlo: in metro, sul divano mentre si sta guardando la tv e parlando con qualcuno, al tavolo di un bar mentre si commenta una presunta notizia tra amici, è tutto un cliccare-condividere-arrabbiarsi. Ma abbiamo letto? Approfondito? Verificato la fonte? 
Ovviamente no, ci fidiamo. Che chi scrive faccia da filtro tra una fonte (esiste? qual è?) e il racconto, insomma un po' come il telefono senza fili. Vi ricordate quando si giocava al telefono senza fili? partiva "casa" arrivava "frutta" e nessuno era sordo nè aveva giù la voce. 
Ecco un mini-elenco di semplici accorgimenti per non cadere nei tranelli del web, nella condivisione facile e superficiale, nelle false notizie, insomma nelle bufale. 

Premessa: la maggior parte dei siti web campa sulla pubblicità. Qualunque tipo di pubblicità online, da google alle agenzie specializzate, frutta da 1 a 20 cent a click circa, per cui ogni volta che cliccate su una pubblicità state facendo guadagnare il sito, questo vale anche per i pop-up che si aprono a tradimento. Non cominciate a tirarvela "io ho il blocco pop-up" perché non c'entra, chi scrive sul sito sa che deve guadagnare in pubblicità, se su 100 visualizzazioni cliccano in 3 sulla pubblicità vuole dire che ha tutti lettori presunti intelligenti col blocco tutto, ma lui non guadagna una cippa.
Dettaglio: anche siti apparentemente attendibili pagano chi scrive in base alla pubblicità, e se nessuno ci clicca sopra comunque chi scrive guadagnerà 1-3 € al pezzo. 
Aggiunta: se uno ha già pattuito di ricevere 3 € al pezzo, e poi deve pubblicare la rettifica, la smentita, la controdichiarazione etc. guadagnerà 12 € invece che 3 € per cui comunque è incentivato a scrivere cose false così fa 4 pezzi invece che 1.

Detto questo, come capire se la presunta "notizia del secolo" spacciata come verità assoluta e inconfutabile è in realtà una bufala?

- Prima regola, ripulire la notizia o presunta tale da tutte le parole che appartengono al registro linguistico dell'opinione personale e non dei fatti. Ad esempio parole come "rapina", "uccidere", "ladri", "servi di", parole scurrili etc. appartengono all'opinione di chi scrive. Sono sicuramente legittime, ma per capire che cosa vi viene detto se il linguaggio non è appropriato allo scritto, togliete le opinioni di chi scrive e capite il contenuto effettivo. Verificate che le parole coincidano con il fatto riportato, per esempio la storia dell'adeguamento all'ISEE delle pensioni di reversibilità è stata riportata da alcuni siti come "l'ultima della spending review: eliminare le vedove" cosa destinata a generare nell'immaginario collettivo la visione di una povera vecchina di 90 anni (perché alla parola vedova ciascuno di noi associa la prima vedova che gli viene in mente) moribonda - perchè c'è scritto "eliminare". Potete verificare qui al punto 1.B la frase originaria del disegno di legge.

- Guardare sempre più di un sito se non vi pare del tutto oggettiva la prima fonte che avete consultato. Soprattutto se la prima fonte in cui siete incappati ha un url come piovegovernoladro.it o nessunovelodirà.boh che non danno esattamente la sensazione di essere siti affidabili. 

- se non siete certi dell'affidabilità del sito o blog, date un'occhiata alle altre notizie lì riportate. Se si parla di avvistamento di UFO o di scie chimiche, state certi che l'autore frequenta un ottimo pusher.

- Verificate se la notizia è già stata inserita su bufale.net un portale creato appositamente per raccogliere bufale e spiegare da dove ciascuna ha origine.

- Verificate la data in cui è stato pubblicato l'articolo, a volte le bufale si ripropongono a distanza di anni. Un caso emblematico, la storiella uscita nel febbraio 2014 sul fatto che sarebbe stata tolta la storia dell'arte dalle scuole, bufala già smentita ed inoltre riferita ad un proposta addirittura di un governo precedente al 2013, che nulla ha a che fare conl'attuale assetto della riforma della scuola che tra l'altro prevede un aumento degli insegnanti nell'ambito arte-musica del 26%, ma che puntualmente riprende a girare su tutti i social possibili e causa scandali e minacce all'indirizzo di non si sa bene chi. 

- Soprattutto quando un tema non vi interessa di persona perché non è parte delle vostre vite, abbiate il beneficio del dubbio: una notizia apparentemente tragica e apparentemente "vera" ma che riguarda un gruppo di persone a cui non appartenete, siate sempre cauti: non sapete per che motivo quella notizia potrebbe essere stata riportata in quel modo. Per esempio, se gridano allo scandalo perché ci sono troppe persone che non raccolgono i bisogni del cane nel tal parco, e voi non abitate in quella città né siete in possesso di un cane, dal momento che non conoscete la situazione - reperibilità sacchetti, presenza area cani, cultura locale - lasciate perdere, non vi scaldate troppo. Se vi dicono che una misura serve a prevenire il lavoro nero in alcune zone d'Italia e per alcune fasce di popolazione e voi siete dei fighetti altoborghesi brianzoli abituati a lavorare per 2.000 € al mese a tempo indeterminato da 30 anni e frequentate solo persone come voi perché chi non ha un'identità professionale conclamata lo guardate dall'alto in basso (ma lo aggiungete su facebook per cui leggere gli articoli che condivide e siete pure così ingenui da pensare che tutto ciò che è su internet sia vero), evitate di condividere indignati, perché non avete la più pallida idea di come funziona la vita degli altri in questo senso, non avete idea se quella realtà descritta possa essere vera, la vostra capacità di sopportare le ingiustizie termina nella coda della business class di malpensa e non conoscete cosa ha spinto chi scrive a sbraitare arrabbiato nè l'idea che sta dietro al provvedimento riportato. L'obiettivo delle bufale è proprio quello di far sì che le persone indignate condividano il più possibile un articolo per generare introiti pubblicitari.

- Non fermatevi mai al titolo. Spesso il titolo inizia con: "che schifo, ecco cosa è successo ieri ..." se non ci cliccate sopra non leggete nulla e sicuramente avranno messo un'immagine che serva a generare schifo abbinata - soprattutto quando si tratta di cani o gatti - ma prima leggete l'articolo. Spesso l'articolo dice qualcosa di completamente diverso da quello che il titolo lascia intendere. Un esempio diverso, ma di un noto e rinomato giornale: la storia di una bimba di Firenze riportata come "la bimba malata non può andare a scuola perché i compagni non si vaccinano" leggendo l'articolo si evinceva che si trattava di vaccini non obbligatori e in più che infine avevano trovato una soluzione, ma nei commenti si son lette frasi come "togliete la patria podestà a quei genitori" da parte di ragazzine dell'università, diatribe filosofiche sul diritto allo studio violato da qualche settimana a casa d'inverno (noi come facevano? tutti bocciati per una varicella?) e minacce all'estinzione della specie umana se uno non è d'accordo.

- Seguendo lo spunto di non fermarsi mai al titolo: se non siete in grado di leggere la notizia, non condividete. Spesso le notizie non vengono lette o per fretta, o perché si stanno facendo 3 cose contemporaneamente, o perché si ha schifo proprio dell'immagine di copertina soprattutto se si tratta di decapitazioni dell'ISIS o di violenze sulle donne, e si condividono articoli che iniziano con "tutti devono sapere" ma in realtà siccome vi faceva ribrezzo l'immagine voi non avete neppure letto - io confesso di non aprire mai articoli in cui ci sono immagini di coltelli, impiccaggioni, volti tumefatti in copertina. Evitate che siano i vostri contatti social ad aprire il link, se non avete verificato cosa c'è dentro l'articolo vero. Non pensate che quello che c'è dentro sia vero a prescindere e che qualcuno dei vostri contatti ne avrà beneficio leggendo anche se voi avete avuto lo stomaco chiuso dall'immagine di presentazione, perché in realtà non sapete quali informazioni contiene effettivamente il testo completo.

- Non investite sulla rabbia, se potete investire sullo studio, la comprensione, l'approfondimento: se non sapete nulla di malaria, di ebola, di dazi doganali, di come si vive a 2.000 metri 14 tornanti sopra l'arrivo dello spazzaneve comunale, di quali sono le consuetudini di vicinato in altre aree d'Italia, ma l'articolo vi sembra che riporti un qualcosa di interessante, cogliete l'occasione per verificare altre fonti, approfondire, leggere qualcosa sul tema. Magari cercando un sito specializzato o prendendo un libro in biblioteca: approfondire spesso è gratis ma fa bene a formarsi un'opinione seria prima di diffondere o commentare a sproposito. 

- A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca: se sono riportati nomi di grandi aziende intelligenti e rinomate in modo altisonante, è possibile che stiano cercando di farsi pubblicità in modo spontaneo e gratuito sfruttando il web e innescando un meccanismo di condivisione. Ad esempio la notizia "la Apple si oppone alla richiesta di sbloccare l'iphone del terrorista di San Bernardino" che sia vera o falsa poco importa - anche perché non è in alcun modo verificabile da voi visto che né la Apple né l'FBI presumibilmente racconteranno i fatti propri a qualunque fonte. Serve a pubblicizzare Apple generando nei potenziali consumatori l'idea che protegga meglio la privacy dei clienti. Sono sicura che l'FBI sarebbe perfettamente in grado di assumere un hacker, ma per la Apple far credere di essere in grado di proteggere fino a quel punto i propri clienti è solo un vantaggio, quindi non diffondete la notizia se siete contrari alla cosa - il web pullula in questi giorni di finti santi scandalizzati - perché tra i vostri 700 finti amici di facebook c'è qualcuno che domani sceglierà iphone non perché la notizia è vera, non perché è una bufala, ma proprio perché voi l'avete condivisa, quindi avete fatto marketing gratis a un'azienda che ha un capitale sociale pari a quello di uno stato.


mercoledì 17 febbraio 2016

‪#‎Unite4Heritage‬ nasce la Task force italiana a difesa del patrimonio culturale.

Si è tenuta ieri mattina a Roma alle Terme di Diocleziano la presentazione della task force italiana “Caschi Blu della cultura”. (Qui il video)
“L’Italia si conferma una grande potenza culturale – dichiara il Ministro Franceschini -  in grado di assumere importanti incarichi in ambito internazionale sotto le insegne Onu per la tutela del patrimonio culturale mondiale. L’accordo di oggi suggella un percorso cominciato all’Expo, quando il 1 agosto 2015 oltre 80 ministri della cultura siglarono la Dichiarazione di Milano per la difesa dei beni artistici, storici e archeologici minacciati dalla distruzione, proseguito all’Assemblea Generale dell’Onu di settembre con l’intervento del Presidente del Consiglio Matteo Renzi e formalizzato con l’approvazione della proposta italiana da parte del Consiglio esecutivo Unesco il 17 ottobre. Un successo italiano nel nome della difesa della cultura e della civiltà”.

Un momento di passaggio significativo, dall’idea alla concretezza, dalla volontà di proteggere la cultura alla capacità di mettere in atto questa volontà, in una sinergia tra Ministero dei Beni Culturali, Ministero degli Esteri e Ministero della Difesa.
“Si colpiscono dei simboli per due ragioni – ci ricorda il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni - per colpire la cultura, l’istruzione, la capacità delle persone di crescere nella consapevolezza. Ma oltre a questo c’è un obiettivo più insidioso, che è quello di cancellare, attraverso la distruzione di simboli, la diversità e il pluralismo che si sono sviluppati nel corso dei secoli. E’ una sorta di pulizia culturale che si vuole fare e sappiamo quanto acuto sia questo allarme dai cristiani della piana di Ninive alle minoranze Yazide alle tante realtà intorno a noi.”

Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni

“Questa è l’Italia che fa l’Italia e di cui possiamo essere orgogliosi”
La tutela della cultura quindi come tutela del passato e insieme tutela del futuro, protezione della memoria perché l’identità di un popolo possa svilupparsi in futuro nel rispetto della propria complessità. E’ orgogliosa dell’operato italiano Irina Bokova, direttore generale dell’UNESCO: “Noi in questo momento stiamo testimoniando un dramma che colpisce l’umanità a livello mondiale, si tratta di uno o più attacchi deliberati al nostro patrimonio e ai nostri beni culturali e al nostro senso comune di cos’è l’umanità, di cosa significa vivere insieme e condividere gli stessi valori. Ricordiamo che l’Italia ha 51 siti che sono patrimonio dell’umanità e migliaia di esperti di beni culturali, per non parlare dell’Arma dei Carabinieri che ci aiuta e si adopera per fermare il traffico di opere d’arte. Stiamo aprendo un nuovo capitolo delle relazioni tra l’Unesco e l’Italia e un nuovo capitolo della protezione dei siti a rischio.”
E continua: “Il patrimonio culturale non è solo la bellezza, il patrimonio culturale è la nostra identità”.
Il primo nucleo italiano dei caschi blu della cultura #CaschiBludellaCultura
Soddisfatto il parlamentare del Partito Democratico Roberto Rampi, in Commissione Cultura alla Camera: “L'Italia e l'Unesco insieme hanno dato vita alla prima task force di caschi blu della cultura. Esperti e Carabinieri che combatteranno il traffico di beni culturali, difenderanno il patrimonio, interverranno in zone colpite da disastri naturali. Un risultato concreto e straordinario. Quando presentai la prima interrogazione su questo tema in Parlamento - aggiunge Rampi - mai avrei pensato che in tempi così rapidi si riuscisse ad arrivare alla fase operativa. Ancora non c'era stata Palmira. Ma c'erano state le distruzioni di Mosul, il traffico di reperti, la fuga delle nostre missioni archeologiche dalla piana di Ninive. L'Italia c'è e ha fatto la sua parte. E dopo la risoluzione parlamentare attraverso le decisioni prese prima a Milano Expo e poi all'assemblea dell'Unesco oggi quell'idea, quel bisogno diventa realtà."
“La tutela del patrimonio culturale - conclude l’on. Rampi - è lotta a una delle principali fonti di finanziamento del terrorismo e al tempo stesso la difesa della diversità culturale, della convivenza tra culture che è il vero nemico che il terrorismo combatte”.


                                           la presentazione del Mibact del progetto


venerdì 12 febbraio 2016

Solidarietà ai lavoratori della STAR di Agrate

Riporto il comunicato stampa dei sindacati sulla situazione della Star di Agrate Brianza, azienda leader del settore alimentare.

Gravissime provocazioni alla STAR di Agrate

“L’invocazione della GB Foods Star di Agrate alla responsabilità sociale è una millanteria. La responsabilità sociale dei lavoratori e di CGIL CISL UIL è finita nel momento in cui l’azienda sceglie la strada della provocazione aperta nei confronti dei lavoratori, delle bugie sulla strategia industriale, delle promesse non mantenute reiterate”. Questo il messaggio centrale che Maurizio Laini, segretario generale della CGIL MB, lancia in occasione della conferenza stampa sui recenti annunci di Star che prefigurano esuberi e dismissioni dell’attività produttiva ad Agrate.
Star è un brend storico della Brianza: 246 lavoratori occupati su quello che fu un sito straordinariamente grande e importante (220.000 metri quadri di superficie, tanti per ospitare 3500 lavoratori quindici anni fa) oggi quasi deserto. Dadi per brodo, infusi e sughi per pasta le produzioni rimaste: quelle innovative – a partire dal brodo liquido – realizzate in Spagna o in Polonia e commercializzate in Italia come italian food.
Mentre CGIL CISL UIL e i lavoratori attendevano risposte sul piano industriale che rilanciasse le produzioni, Star ieri mattina ha incontrato il Ministro Guidi e senza i Sindacati ha annunciato 35 esuberi (licenziamenti) entro giugno e altri trenta nei prossimi mesi. Salvo promettere 25 milioni di investimenti sul sito. E nel pomeriggio mentre si svolgeva un incontro tra CGIL CISL UIL, Assolombarda e l’azienda a Monza, ad Agrate la Star convocava gli operai e annunciava i licenziamenti. Il Sindacato abbandona il tavolo in corso si trova davanti giornalisti e agenti della Digos: “Allora qualcuno sapeva, e ha mobilitato le forze dell’ordine. Sapeva di questa provocazione diretta ai lavoratori! Che ovviamente sono subito scesi in sciopero e hanno manifestato dentro e fuori l’azienda ieri pomeriggio stesso” raccontano i sindacalisti presenti alla conferenza stampa. “il comportamento del Gruppo, dell’Azienda e di Assolombarda è stato devastante sul piano delle relazioni sindacali - aggiunge Laini – e deliberatamente conflittuale con i lavoratori. Diretto. Autoritario. Terribile, anche nei confronti delle loro famiglie”.
A giudizio di CGIL CISL UIL gli investimenti annunciati non serviranno a finanziare un piano industriale che non c’è (c’è invece, da subito, il licenziamento di 65 persone e la dismissione di metà della produzione ad Agrate) ma a valorizzare l’area dal punto di vista immobiliare. I sindacalisti aggiungono che “il sito va verso la trasformazione d’uso; quel che interessa alla multinazionale è il brend ancora straordinariamente ricco (“STAR”) e capace di coprire produzioni fatte altrove”.
Le tre confederazioni sindacali hanno annunciato la sospensione delle relazioni sindacali con Assolombarda fino ad un necessario chiarimento; una richiesta al Mise di incontro sul piano industriale;  un volantinaggio (mercoledì al mercato) e un’assemblea pubblica (nei prossimi giorni) ad Agrate perché “a soffrire è un intero territorio e la sua vocazione industriale e manifatturiera”; il coinvolgimento dell’Amministrazione Comunale e dei parlamentari locali (l’on. Roberto Rampi ha già avanzato un’interrogazione parlamentare dedicata e l’on. Davide Tripiedi ha esplicitato vicinanza); la mobilitazione visibile dei lavoratori della Star anche se la prossima settimana saranno tutti in cassa integrazione.
Il testo dell'interrogazione parlamentare presentata dall'on. Rampi
Matteo Casiraghi, segretario generale della FLAI CGIL MB ha concluso che “il disprezzo dell’azienda dimostrato nei confronti dei lavoratori merita una risposta di mobilitazione adeguata. Non possiamo più credere alle favole narrate da chi per primo si pone sulla strada del conflitto e dello scontro. Proveremo con tutti i mezzi a salvare i posti di lavoro: certo è che si è rotto uno sforzo di collaborazione e si è stracciata tutta la disponibilità al dialogo che FLAI, FAI e UILA hanno sempre dimostrato ai tavoli…..”.

Monza, 11 febbraio 2016