lunedì 29 febbraio 2016

L'utero in affitto, l'aborto e come altri ragionano sul corpo della donna: impedire dopo o liberare prima?

Credo che da un certo punto di vista sia corretto non legittimare la mercificazione del corpo attraverso l'utero in affitto, ma al tempo stesso dovremmo provare ad immaginare sia cosa passa chi non può avere figli (anche coppie etero) e valutare soluzioni che permettano l'adozione dei tanti bambini che riempiono gli orfanatrofi in tutto il mondo in modo più snello e meno burocratico, ci sono famiglie che aspettano anni dopo che gli è stato assegnato un bambino. In questo senso vedo in modo molto positivo la proposta di portare all'esame delle camere una legge sulle adozioni, non con lo scopo di far sì che una donna partorisca per altri ma per far sì che i bambini che già sono nati e per svariati motivi non vivono con i loro genitori possano avere una casa. 
La possibilità di adottare un bambino sicuramente risolverebbe il problema per le coppie omosessuali, per le coppie di fatto e conviventi senza che siano obbligate a sposarsi e per le donne single che non volessero scegliere un partner in modo casuale, ma non risolverebbe il problema culturale delle tante coppie che vivono in zone dove il giudizio della gente pesa più delle leggi. Si ascoltano spesso storie di donne che vengono "giudicate" dal loro paesello, dalle piccole comunità in cui vivono, se non riescono a rimanere incinte o se per qualche motivo medico non riescono mai a portare a termine una gravidanza. Il giudizio è sul corpo femminile e sul presunto "dovere" della donna di essere prima di tutto madre. Una specie di vocazione, che se non c'è diventa pegno da pagare alla società per poter parlare della vita con gli altri tipo "tu non sei madre non puoi capire" o altri sterotipi di genere come "una donna ha partorito può superare qualunque difficoltà della vita". Ecco non è proprio così. Il mondo è pieno di donne che hanno partorito e non superano comunque le difficoltà, anche se dichiarano di farlo per mantenere la facciata. Fa comodo a una parte della società raccontare la donna in questo modo, come una specie di dea della fertilità da stimare in quanto tale e da far sentire una fallita se non si sente tale. Forse la cosa più utile per evitare che una donna ricorra all'utero in affitto nel caso del "giudizio del paesello" sarebbe proprio rimuovere le cause che culturalmente spingono le altre donne a giudicare la "diversa". Non "impedire dopo", ma "liberare prima" la femminilità per quello che è.
Spesso noi donne tendiamo a far finta di sentirci parte di un'unica comunità femminile uguale in tutto il mondo, ma non è così. Non siamo tutte uguali. Non lo siamo perché essere donna definisce semplicemente l'essere in un corpo femminile, ma le distinzioni culturali e le possibilità di partecipare all'ascensore sociale che derivano dal corpo in cui siamo cambiano da Paese a Paese, talvolta persino da regione a regione all'interno dell'Italia. La distinzione tra l'essere donna e l'essere uomo non deve essere un discrimine per cui l'uomo a seconda della cultura di provenienza può fare quello che gli pare perché è nato in un corpo maschile, mentre la donna deve in qualche modo essere omologata per ruoli e doveri e presunta morale in ogni parte del mondo. 
Siamo semplicemente persone. Soggettivamente diverse, esattamente come lo sono gli uomini, ed esattamente come un uomo con la stessa possibilità di scegliere razionalmente se vogliamo e possiamo riprodurci e quando farlo. 
Detto questo, ci sono usanze e modi di intendere la genitorialità che si sono modificati culturalmente anche in Italia nel corso dei decenni e dei secoli, una volta per esempio si usava che una donna che non poteva o non voleva allattare desse il bimbo in balia ad un'altra. Noi oggi considereremmo probabilmente orripilante il fatto che un'altra donna debba continuare a produrre latte come una mucca per anni per allattare figli di donne ricche a pagamento, eppure in un'epoca in cui il latte in polvere non era un'opzione era un'abitudine diffusa e un vero e proprio lavoro fare la balia, e ovviamente c'era un problema di denaro perché una povera se non aveva latte vedeva morire il proprio bambino, una ricca assumeva una balia. A me soggettivamente nel qui ed ora della mia contemporaneità continua a sembrare un trattamento da mucca.
Al giorno d'oggi troviamo assurdo che una donna non possa accedere ai mezzi anticoncezionali e alle informazioni al riguardo, fino a qualche decennio fa le donne facevano figli in quantità da animale eppure non era prevedibile una così rapida diffusione della ricerca scentifica e dell'idea ormai in noi connaturata della genitorialità consapevole. Una volta esisteva anche l'abitudine per le donne povere di abbandonare i bambini in un luogo sicuro (vicino a una chiesa o a un orfanatrofio) se non avevano i mezzi per crescerli, oggi a momenti impediscono pure alle adolescenti di lasciare il bimbo in ospedale in modo anonimo nonostante sia legalmente possibile partorire in modo anonimo - quindi usufruendo del servizio medico per non mettere a rischio la vita della partoriente né del bambino e allo stesso modo preservando la privacy della donna che potrebbe avere seri problemi se in futuro si dovesse scoprire di quel figlio.
Allo stesso modo io penso che se una donna se la sente e non ha paura - del parto etc - e magari ha già figli suoi da crescere e mantenere e proviene da una comunità in cui avrebbe come alternativa quella di prostituirsi o di vivere di stenti tutta la vita (sua e delle persone che ama), se viene adeguatamente assistita medicalmente e psicologicamente possa scegliere come guadagnare i suoi soldi pur sempre entro i termini di legge dello stato in cui si trova e sempre in modo non "fai-da-te" e non previo sfruttamento. L'importante è che sia una scelta e che sia un servizio retribuito, senza nascondersi dietro a finto volontariato che chiaramente causerebbe solo irregolarità contrattuale e mancanza di tutela.
Se una madre volesse garantire ai propri figli (quelli nati dal suo amore per il suo partner) di andare all'università o di aprirsi un'attività e per fare questo volesse guadagnare tutto d'un botto una bella cifra? Le neghereste la possibilità di fare quello che meglio crede, nei termini di legge, per dare quel futuro ai suoi figli? Come mai? Perché è troppo lontano da noi? Perché tanto non ci riguarda? O perché consideriamo "amore" una specie di croce da portare secondo la morale cattolica per cui lo schema è: 
- una se rimane incinta si deve tenere il bambino, se lo rifiuta non accetta la vita (casualmente dimenticando che l'uomo fa quello che gli pare, prima, durante e dopo)
- se non riesce a rimanere incinta in modo naturale o non vuole non è normale (ovviamente nessuno sa dare una definizione di questa presunta normalità né è interessato a farlo ma è uno status quo che serve a mantenere meglio controllata la società e il potere maschile)
- se pensa di partorire un bimbo in una clinica strapagata non è degna di essere madre (però il bimbo se lo deve tenere e non può cederlo ad altri)
- però se fa 10 figli senza precauzioni e cresce le figlie femmine represse va bene perché è la sua cultura poverina
Se non è la nostra vita, lasciamo cadere il giudizio e proviamo a vedere invece cosa si può fare per migliorare le scelte andando in direzione di più diritti per tutti e non di più limitazioni. Non giudichiamo perché ci sono delle situazioni che non abbiamo vissuto e non possiamo sapere che cos'è per un'altra donna quello che ha un significato per noi e perché abbiamo l'abitudine di pensare di essere autorizzati a scegliere per gli altri. Non lo siamo. Gli altri sono altri, non siamo noi. Hanno altre paure, altri valori, altri sogni, un'altra storia che noi non abbiamo percorso. E' bellissima la curiosità umana di comprendere gli altri e di provare ad approfondire e capire, ma non per tutti noi è la priorità di vita e non tutti possiamo capire tutto: la ricerca e la volontà di entrare nei meccanismi mentali ed emotivi altrui sono tanto più proficui quanto più supportati da una reale voglia di imparare e di amare più profondamente l'umanità in tutte le sue sfaccettature e non dal desiderio di accertarsi che nessuno cambi la realtà attuale e che nessuno tocchi le regole che fanno comodo a noi.
Aggiungo su questo punto una nota sulla 194: ho letto recentemente di un inasprimento delle sanzioni per chi ricorre ad aborti clandestini. (Qui l'articolo: l'aborto è un servizio medico ma è trattato come un problema morale). Anche qui il problema non è impedire qualcosa, ma creare le condizioni perché l'esigenza non si verifichi, permettendo un servizio sanitario adeguato.
L'anno scorso una ragazza che conosco, 22 anni, studentessa di Milano con storia a distanza da pochi mesi con un uomo molto più grande di lei e proveniente da un ambiente sociale e culturale molto diverso dal suo, ha scelto di ricorrere all'interruzione di gravidanza. Ha dovuto girare 5 ospedali di Milano per trovarne uno dove non ci fossero obiettori e dove le dessero un appuntamento in tempo utile entro il 3° mese. Nei primi due ospedali dove è stata, l'hanno accolta nell'ordine: 
- una psicologa che le ha detto che sicuramente avrebbe potuto continuare a studiare e che il bimbo lo avrebbe cresciuto bene sua madre, il tutto senza aver sentito né la madre né il ragazzo
- una dottoressa che le ha detto che se il suo ragazzo voleva tenerlo era già molto fortunata e che quindi non s'aveva da fare, il tutto senza averli mai visti insieme e dopo poche domande solo a lei
Credo che si dovrebbe andare in una direzione diversa di prevenzione di questo fenomeno incontrollabile dell'obiezione di coscienza che diventa impossibilità a usufruire di un servizio: no obiettori tra i ginecologi, dopo 6 anni di medicina prima di scegliere la specializzazione un medico sa già a cosa va incontro, tra l'altro la specializzazione in ginecologia e ostetricia è una di quelle più gettonate quindi non mancherebbero gli iscritti. Non è un'opzione che uno scelga un lavoro dopo averci pensato 6 anni e poi dichiari che una parte di quel lavoro non la vuole svolgere: cambia mestiere. L'opinione personale non è un servizio medico. Detto questo, inasprire le sanzioni può solo causare il fatto che se uno ricorre ad un aborto clandestino in caso di complicazioni non si rivolga al personale medico per chiedere aiuto, tanto più se deve pagare multe di importi che nessuno dei suoi famigliari avrà neppure a disposizione materialmente. 

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