lunedì 16 maggio 2016

Senza tacchi per un futuro in rosa più libero?

Una ragazza britannica ha dato inizio a una battaglia contro l'obbligo ad indossare scarpe col tacco nei luoghi di lavoro, raccogliendo più di 120.000 firme. Mi sono stupita che la battaglia sia partita proprio da una ragazza inglese, visto che di solito le donne britanniche hanno l'abitudine di portare i tacchi molto più spesso di noi, ma evidentemente il problema esiste. 


“I datori di lavoro possono imporre un codice di abbigliamento diverso per uomini e donne, e mi può andare bene finché non viene favorito uno dei sessi. Il punto qui è che imporre i tacchi alti alle donne significa favorire gli uomini, perché le loro calzature non hanno conseguenze sulla postura e sulla capacità di movimento



Non ha tutti i torti in effetti, il dress code è una cosa, discriminare una persona rispetto ad un'altra sulla base della sua volontà di indossare scarpe scomode non è lo stesso. A quante di voi è capitato di vedersi offrire giornate da hostess con richiesta esplicita via email "tacchi alti" o "decolleté con tacco obbligatorie" e rinunciare a priori? O peggio ancora: "dress code blablabla, tacchi indispensabili, è necessario arrivare sul luogo di lavoro già vestite perché non sarà disponibile un armadietto". 
Poi c'è chi ci prova e va comunque senza tacchi, per poi scoprire che essendo un contratto a chiamata la volta dopo non si verrà più chiamate quindi in pratica non sarà possibile svolgere un lavoro se non vestite in quel modo. E' da stabilire se il metodo corretto sia quello di fare una petizione dal basso, o piuttosto creare le basi perché le donne si sentano libere di essere comode e competenti, perché se ci rifiutassimo tutte in massa di mettere i tacchi in determinati contesti non credo potrebbero mandare a casa tutte, ma si sa che la solidarietà femminile è defunta dalla preistoria quindi fossi in voi non ci conterei. Oppure ... che la battaglia debba partire dall'alto? 
Quando vedo delle ragazzine quasi anoressiche vestite da oche che ancheggiano male su e già per le scale agli eventi mi chiedo se i clienti di questi grandi eventi non siano i veri responsabili del comportamento richiesto alle agenzie. Tra l'altro, spesso i personaggi di passaggio non si accorgono neppure delle ragazze a cui al massimo rivolgono domande stupide tipo "dov'è il bagno" per non parlare di quelle dietro i banconi, che potrebbero pure mettersi le scarpe da tennis e non si accorgerebbe nessuno. Poi il caso della ragazza inglese, receptionist, a maggior ragione apre un dibattito sulle competenze e sulle conseguenze sulla salute visto che si tratta di un lavoro full-time. Mi chiedo se non ci sia piuttosto la necessità di risistemare, in tempi di flessibilità lavorativa, alcuni concetti sulle condizioni contrattuali e sui controlli che possono o non possono essere fatti, oltre magari a una presa di posizione dall'alto che in determinati contesti espliciti "non mi interessa che le hostess abbiano i tacchi, l'importante è che non siano oche". 
L'importante è che non si trasformi in un boomerang per assumere solo donne giovani, solo poche ore - per dimostrare ad esterni che non fa male alla salute - e che una possibile futura battaglia femminista non diventi un altro discrimine tra chi ha studiato e chi invece ha investito tempo nell'imparare a portare i tacchi 10 ore al giorno, perché sono situazioni delicate che andrebbero affrontate all'interno di un dibattito più ampio sulle richieste - dirette e indirette - esplicite e non - fatte in sede di trattativa contrattuale. Ovviamente se viviamo in un mondo del lavoro in cui la trattativa contrattuale non esiste o non è ancora stata applicata a tanti lavori nuovi, rimane un terreno molto scivoloso. 


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