Un intervento approfondito e non banale quello dell'on. Roberto Rampi che oggi ha incontrato in Commissione Cultura alla Camera Marco Travaglio in occasione dell'audizione sull'abolizione del finanziamento pubblico all'editoria. Un pezzo di ragionamento in più su un tema di cui tanto si parla ma poco si conosce effettivamente nella sua complessità.
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Vorrei
capire nell’esperienza del Fatto Quotidiano se si sostiene solo con le entrate
dei lettori o anche con le entrate della pubblicità e quindi la domanda poi che
diventa un po’ più generale è questa, cioè se l’informazione sia un
servizio o un prodotto e quindi a chi risponde rispetto a chi la finanzia.
Mi
sembra di intuire dalla sua prima lettura che lei sostiene che il finanziamento
pubblico potrebbe portare l’informazione a dipendere di fatto dal potere di
quel Paese. Io penso però che se una norma è fatta bene – e quindi noi siamo
convinti che vada riformato il finanziamento – il tipo
di informazione che si va a dare non porta ad un’informazione che dipende dal
potere in quel momento ma dovrebbe avere delle caratteristiche di oggettività e
quindi sostenere tutta una serie di voci plurali, soprattutto piccole,
soprattutto indipendenti che invece nel libero mercato potrebbero non farcela.
Come
però la preoccupazione che il finanziamento pubblico porti l’informazione a
dipendere dal potere, l’idea che ci sia un libero mercato dell’informazione non
porta l’informazione a dipendere da quelle entrate economiche che la sostengono
economicamente, ad esempio da grandi o piccoli potentati economici?
Dico
grandi o piccoli perché molto spesso parliamo di giornali a livello locale che
stando alle regole del finanziamento potrebbero avere la possibilità di essere
completamente indipendenti. Vivendo esclusivamente di un’entrata pubblicitaria
potrebbero rispondere agli interessi economici di un soggetto locale che è disposto
a fare pubblicità su quel giornale ma in cambio vuole una
particolare attenzione alle informazioni etc.
Mi domando, su un piano urbanistico un giornale che vive in maniera
significativa delle pubblicità di un gruppo edilizio che va a costruire in
quella realtà avrà la possibilità di essere indipendente nel giudicare quel
piano urbanistico, quel provvedimento che favorisce un operatore rispetto a un
altro?
Questa
è un po’ la riflessione di fondo che ci facciamo che a me porta a questa grande
domanda: se l’informazione è un prodotto o è un servizio e quindi se è un
servizio come altri servizi – penso a quelli sanitari, sociali, bibliotecari,
culturali – non deve essere in qualche modo garantito grazie alle tasse che i
cittadini pagano e che servono a garantire dei servizi?
E
la seconda domanda è questa, che è collegata: se noi facciamo vivere
l’informazione esclusivamente del ritorno di mercato che ha, perché di questo
stiamo parlando, non c’è il rischio che ciò che non va di moda, che non
interessa in quel momento non possa più avere voce? Pur sapendo che a volte
nella storia le cose che non andavano di moda dicevano qualcosa di molto
importante che magari in quel momento non tirava, non funzionava. Perché il
rischio è che in questo modo sopravviva solo ciò che funziona, solo ciò che
piace, ma quello che piace in quel momento ai più non è detto che sia - io non
dico la verità, perché non so dove stia la verità però io credo che la verità
si componga dall’esistenza di una pluralità di opinioni. Quindi la mia
preoccupazione come legislatore è capire come fare a garantire la libertà
d’opinione.
Poi
bisogna essere d’accordo che bisogna intervenire su tutto ciò che può essere
spreco, tutto ciò che può essere sostegno occulto e quindi capire anche quali
sono le forme. Ad esempio esistono e sono esistite delle sovvenzioni per far
abbassare il costo della carta dei giornali e mi risulta che anche il Fatto ha
usufruito di questo tipo di supporto pubblico. Si potrebbe forse pensare di mettere
in campo una serie di servizi. Si potrebbe pensare, ma in parte oggi è già
così, a legare la possibilità di accedere al finanziamento pubblico a una serie
di criteri di qualità, nella modalità in cui si lavora in quei giornali, nella
modalità in cui sono qualificate le competenze di chi ci lavora e quindi anche
forme di competenza legate alla qualità.
Insomma
la domanda di fondo è questa, se davvero lei è convinto che abolendo tout court
il finanziamento si ottenga nella libertà una specie di magia dell’economia, la
pluralità delle informazioni – e traspare la mia convinzione che non sia così –
se questo non rischi di vedere grandi o piccole testate tutte dipendenti di
fatto da diversi poteri economici, che in alcuni casi sono anche proprio i loro
lettori. Lei ha detto “ci possono comprare solo i nostri lettori” però se io
per farmi comprare devo continuare ad assecondare i miei lettori quando devo
dire una cosa scomoda che ai miei lettori non piace forse mi faccio qualche
dubbio se dirla o meno.
Io
vorrei che un giornalista o una testata possano sentirsi sempre in qualsiasi
momento liberi di dire quello che ritiene sia quella vicenda e di raccontarla
come ritiene giusto raccontarla senza preoccuparsi di chi la compra o di chi
gli fa pubblicità o di chi la paga."