Riporto l'intervento di ieri pomeriggio dell'on. Roberto Rampi alla conferenza stampa sull'appello rivolto al Governo italiano per l’immediata apertura dei capitoli 23 e 24 del negoziato di adesione della Turchia all’Unione europea, in vista del Vertice di Bruxelles di oggi e domani.
"Si è parlato di un
tema culturale: la presenza della Turchia in Europa è innanzitutto un grande
tema culturale, che ha a che vedere con qual è l’Europa che noi abbiamo in
mente. Oggi durante il dibattito parlamentare è stata rievocata una frase di
Aldo Moro: se l’Europa deve essere un’Europa del nord o un’Europa mediterranea
e come si è detto in fondo questa scelta non esiste perché l’Europa non può che
essere un’Europa mediterranea, con il Mediterraneo al centro. Io ricordo sempre
che una parte di noi appartiene e ha in comune centinaia di anni di storia con
la Turchia. La storia dell’impero bizantino è una storia che si dimentica come
una componente fondamentale culturale dell’Europa.Allora se l’Europa
è un progetto ambizioso di scenario, di visione, di futuro, deve guardare a
questo orizzonte di tempo e poi affrontare nella concretezza dell’oggi i temi
di quale sia la contingenza del governo turco, di quali sono i problemi in
questo momento politico della storia della Turchia, tra l’altro magari facendosi
anche qualche autocritica, perché probabilmente se l’Europa si fosse comportata
in maniera differente nei confronti della Turchia non oggi ma 10 anni fa – la
politica è anche questo – probabilmente avrebbe agito in maniera diversa nel
determinare gli avvenimenti successivi della politica interna. Probabilmente
avrebbe dato alla Turchia un altro tipo di orizzonte rispetto a quello a cui in
fondo anche noi abbiamo portato con i nostri comportamenti e con questo
infinito processo di avvicinamento, che produce un effetto di diffidenza, di
distanza, di lontananza, di disinteresse e della costruzione di politiche altre
che poi è quello che è oggettivamente accaduto.
Credo che dire oggi in momenti così delicati che questo è un motivo e un significato storico e culturale fondamentale sia ancora più valido. Noi siamo forse degli utopisti? Non lo so, io credo che l’utopia sia un fondamento per la politica, che non vuole dire non avere la consapevolezza dei problemi concreti che ci sono però vuol dire avere in mente un orizzonte. L’Europa che noi abbiamo in mano oggi è un’Europa che o è troppo grande o è troppo piccola. Allora io credo che la risposta sia che è troppo piccola, troppo piccola in termini territoriali ma anche troppo piccola in termini valoriali e in termini di capacità di rispondere alle grandi sfide. Oggi pensare che di fronte a un problema epocale come quello delle migrazioni la risposta per qualcuno è chiudersi e la risposta per qualcun altro è trovare degli accordi parziali per scambiare qualche elemento economico con qualche elemento di gestione della vita di milioni di persone, ecco forse è un po’ lontano dall’ambizione del sogno europeo.
Io credo che noi
dobbiamo tornare all’ambizione del sogno europeo e nel tornare all’ambizione
del sogno europeo avere in mente che una parte fondamentale della cultura
europea è nata, è cresciuta e si è sviluppata in quelle città che sono oggi
oggetto di violenza e che sentiamo magari un po’ meno vicine di altre città
europee.
Sei anni fa quando
Istanbul è stata capitale europea della cultura ho avuto la fortuna di
partecipare e forse mai come in quel momento si è capito quanti elementi
culturali fondamentali dell’Europa sono transitati e sono stati portati a noi
negli anni attraverso quel grande patrimonio culturale che oggi la Turchia
rappresenta e che invece viene troppo spesso rappresentato come altro magari
anche da una parte della politica interna turca che proprio per questo va forse
orientata in un’altra direzione."
Riporto inoltre il testo dell'appello sottoscritto da più parti:
MANIFESTO-APPELLO
al Consiglio europeo, al Consiglio dell’Unione europea, alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, alla Commissione europea, al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, al Parlamento europeo, ai Governi e ai Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea, al Segretario generale del Consiglio d'Europa, all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, al presidente della Corte europea dei diritti dell'Uomo, al Governo e al Parlamento della Repubblica di Turchia.
PER L’IMMEDIATA APERTURA DEI CAPITOLI 23 E 24 DEL NEGOZIATO DI ADESIONE DELLA TURCHIA ALL’UNIONE EUROPEA
CHIEDIAMO
a tutti gli attori del rapporto euro-turco, di elevarsi al di sopra delle contingenze e delle convenienze immediate, dei particolarismi e degli egoismi nazionali, inserendo le iniziative di gestione dell'emergenza migranti nel contesto – consolidato e condiviso – del negoziato di adesione della Turchia all'Unione. I veti all'esame dei capitoli negoziali, sin qui opposti, contraddicono il fine stesso della costituzione dell’Unione europea, che è di includere nel proprio seno i popoli d’Europa che ne facciano richiesta, per condividere un grande progetto di libertà e di democrazia. Quei veti rappresentano un inaccettabile regresso dalla dimensione comunitaria ad una di mero livello interstatale, foriera di conflitti e ricatti, che paralizzano il progetto politico europeo, che è anche progetto di libertà, di democrazia, di apertura al futuro;
al Parlamento europeo, di salvaguardare lo scopo stesso delle Istituzioni comuni, censurando la linea di condotta – sin qui seguita dagli organi dell'Unione verso la Turchia – nell’ambito della logica della cooperazione interstatale o, peggio, dello scambio utilitaristico, a discapito dei diritti umani dei migranti e della possibilità del dissenso interno di appellarsi all'alto patrocinio delle Istituzioni europee. La Turchia ha bisogno di riprendere con vigore il cammino riformatore interrotto e di procedere all’adeguamento del proprio ordinamento a quello comunitario; ma noi temiamo che, senza la prospettiva di un immediato ingresso nell’Unione europea, il paese possa andare incontro a ulteriori e gravi tensioni e ad una regressione autoritaria.
In vasti strati della società turca persiste un grande bisogno di Europa. Per le nuove generazioni l’Europa è uno spazio di libertà al quale sentono di appartenere; i giovani chiedono di contribuire a promuovere e a far crescere una democrazia compiuta. Anche per questo non sarebbe lungimirante tenere ancora bloccati i capitoli del negoziato di adesione;
al Consiglio dell'Unione di superare i veti incrociati di alcune cancellerie europee, che nello scorso decennio hanno imposto il blocco di oltre la metà dei capitoli negoziali. La conclamata disponibilità, reiterata ancora il 7 marzo 2016 dal Capo del Governo turco, a porre immediatamente sotto scrutinio cinque di questi capitoli – tra cui quelli relativi al sistema giustizia e diritti umani (23 e 24) – non deve essere lasciata cadere: occorre anzi mettere in mora il Governo turco in ordine alle criticità della situazione delle libertà fondamentali, raccogliendone la sfida e procedendo alla verifica dei «Criteri di Copenaghen» ai fini dell’adesione della Turchia all’Unione;
alla Commissione europea di aggiornare immediatamente gli screening condotti dieci anni fa sul sistema giustizia e diritti umani: non si ammette così che il processo di verifica del benchmark darà necessariamente esito positivo, ma si ingaggia il Governo turco in un dialogo direttamente sui singoli dossier (libertà di stampa, informazione, Stato di diritto);
ai singoli governi nazionali degli Stati dell'Unione europea, di sottrarre un alibi alla dirigenza della Turchia che – nell’unilateralismo dell’esclusione e nella predica fine a sé stessa, cui i singoli Governi indulgono troppo spesso senza voler davvero sbloccare la situazione – trova argomenti per eccitare il sostegno interno, nel contesto di una già esasperata polarizzazione sociale. Se la crisi dei migranti lascia intravedere nuove e pericolose linee di frattura, la responsabilità è anche da ascrivere alla miopia politica dell'Europa. L'Unione potrà recuperare attraction power soltanto impegnandosi ad assicurare un saldo ancoraggio europeo alla penisola anatolica ed un trattamento umano, secondo standard europei, a chiunque vi si trovi.
CHIEDIAMO
PER TUTTE QUESTE CONSIDERAZIONI,
L’IMMEDIATA APERTURA DEL CAPITOLO 23, SU «SISTEMA GIUDIZIARIO E DIRITTI FONDAMENTALI» E DEL CAPITOLO 24 SU «GIUSTIZIA, LIBERTÀ E SICUREZZA», FACENDO CADERE OGNI VETO ALLA RIPRESA DEL NEGOZIATO DI ADESIONE
MANIFESTO-APPELLO
al Consiglio europeo, al Consiglio dell’Unione europea, alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, alla Commissione europea, al Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell'Unione per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza, al Parlamento europeo, ai Governi e ai Parlamenti degli Stati membri dell’Unione europea, al Segretario generale del Consiglio d'Europa, all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, al presidente della Corte europea dei diritti dell'Uomo, al Governo e al Parlamento della Repubblica di Turchia.
PER L’IMMEDIATA APERTURA DEI CAPITOLI 23 E 24 DEL NEGOZIATO DI ADESIONE DELLA TURCHIA ALL’UNIONE EUROPEA
CHIEDIAMO
a tutti gli attori del rapporto euro-turco, di elevarsi al di sopra delle contingenze e delle convenienze immediate, dei particolarismi e degli egoismi nazionali, inserendo le iniziative di gestione dell'emergenza migranti nel contesto – consolidato e condiviso – del negoziato di adesione della Turchia all'Unione. I veti all'esame dei capitoli negoziali, sin qui opposti, contraddicono il fine stesso della costituzione dell’Unione europea, che è di includere nel proprio seno i popoli d’Europa che ne facciano richiesta, per condividere un grande progetto di libertà e di democrazia. Quei veti rappresentano un inaccettabile regresso dalla dimensione comunitaria ad una di mero livello interstatale, foriera di conflitti e ricatti, che paralizzano il progetto politico europeo, che è anche progetto di libertà, di democrazia, di apertura al futuro;
al Parlamento europeo, di salvaguardare lo scopo stesso delle Istituzioni comuni, censurando la linea di condotta – sin qui seguita dagli organi dell'Unione verso la Turchia – nell’ambito della logica della cooperazione interstatale o, peggio, dello scambio utilitaristico, a discapito dei diritti umani dei migranti e della possibilità del dissenso interno di appellarsi all'alto patrocinio delle Istituzioni europee. La Turchia ha bisogno di riprendere con vigore il cammino riformatore interrotto e di procedere all’adeguamento del proprio ordinamento a quello comunitario; ma noi temiamo che, senza la prospettiva di un immediato ingresso nell’Unione europea, il paese possa andare incontro a ulteriori e gravi tensioni e ad una regressione autoritaria.
In vasti strati della società turca persiste un grande bisogno di Europa. Per le nuove generazioni l’Europa è uno spazio di libertà al quale sentono di appartenere; i giovani chiedono di contribuire a promuovere e a far crescere una democrazia compiuta. Anche per questo non sarebbe lungimirante tenere ancora bloccati i capitoli del negoziato di adesione;
al Consiglio dell'Unione di superare i veti incrociati di alcune cancellerie europee, che nello scorso decennio hanno imposto il blocco di oltre la metà dei capitoli negoziali. La conclamata disponibilità, reiterata ancora il 7 marzo 2016 dal Capo del Governo turco, a porre immediatamente sotto scrutinio cinque di questi capitoli – tra cui quelli relativi al sistema giustizia e diritti umani (23 e 24) – non deve essere lasciata cadere: occorre anzi mettere in mora il Governo turco in ordine alle criticità della situazione delle libertà fondamentali, raccogliendone la sfida e procedendo alla verifica dei «Criteri di Copenaghen» ai fini dell’adesione della Turchia all’Unione;
alla Commissione europea di aggiornare immediatamente gli screening condotti dieci anni fa sul sistema giustizia e diritti umani: non si ammette così che il processo di verifica del benchmark darà necessariamente esito positivo, ma si ingaggia il Governo turco in un dialogo direttamente sui singoli dossier (libertà di stampa, informazione, Stato di diritto);
ai singoli governi nazionali degli Stati dell'Unione europea, di sottrarre un alibi alla dirigenza della Turchia che – nell’unilateralismo dell’esclusione e nella predica fine a sé stessa, cui i singoli Governi indulgono troppo spesso senza voler davvero sbloccare la situazione – trova argomenti per eccitare il sostegno interno, nel contesto di una già esasperata polarizzazione sociale. Se la crisi dei migranti lascia intravedere nuove e pericolose linee di frattura, la responsabilità è anche da ascrivere alla miopia politica dell'Europa. L'Unione potrà recuperare attraction power soltanto impegnandosi ad assicurare un saldo ancoraggio europeo alla penisola anatolica ed un trattamento umano, secondo standard europei, a chiunque vi si trovi.
CHIEDIAMO
PER TUTTE QUESTE CONSIDERAZIONI,
L’IMMEDIATA APERTURA DEL CAPITOLO 23, SU «SISTEMA GIUDIZIARIO E DIRITTI FONDAMENTALI» E DEL CAPITOLO 24 SU «GIUSTIZIA, LIBERTÀ E SICUREZZA», FACENDO CADERE OGNI VETO ALLA RIPRESA DEL NEGOZIATO DI ADESIONE
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