venerdì 9 dicembre 2016

Le scelte dei consumatori influenzano il mercato del lavoro?

Qualche giorno fa un mio amico - esperto giornalista di Radio Popolare e non solo - ha postato su Facebook questa foto: clienti che si sostituiscono alle cassiere, in un supermercato qualunque della Brianza. 


In generale, noi con i nostri comportamenti e i nostri consumi influenziamo - in positivo o in negativo - le regole del mercato. Vale ogni volta che compriamo un prodotto Made in China senza averne cercato uno analogo made in Europe o senza esserci chiesti quali sono le condizioni dei lavoratori che li hanno prodotti, vale ogni volta che utilizziamo Amazon Prime. Io personalmente ho scelto di non comprare più nulla su Amazon da più di un anno quando lessi questa inchiesta del New York Times - poi riportata anche da Huffington Post http://www.huffingtonpost.it/2015/08/17/amazon-inchiesta-new-york-times-lavoro_n_7997102.html e l'ultima volta che sono andata al Centro Commerciale Il Globo mi sono personalmente accertata che le nataline (le ragazze con l'uniforme da babbo Natale che fanno i pacchetti regalo) fossero retribuite prima di far fare il pacchetto: un lavoro che feci qualche anno all'università e non vedo perché ora debba da più parti essere affidato al volontariato, togliendo potenziali posti di lavoro, in tanti altri centri commerciali della zona. Non so se il fenomeno dello sfruttamento del volontariato con la scusa dello spirito natalizio sia diffusa anche altrove o sia una prassi brianzola, nel caso se avete informazioni in merito sono interessata ad approfondire. Esiste un dato di fatto da cui partire: ormai è tutto self-service. Forse pensiamo che sia una sorta di privilegio, di responsabilizzazione dell'utente, ma è un meccanismo che porta alla deriva e non so onestamente se sia correggibile, ad oggi: dobbiamo imparare a farci da soli il 730, utilizzare l'home banking, portarci da soli il vassoio in tavola al self-service, sostituirci alle cassiere, sistemarci l'adsl da soli quando chiamiamo il call center, prenderci in prestito i libri in biblioteca da soli. Il contatto con qualcuno di "esperto" in qualcosa sta diventando sempre più una sorta di "disturbo" da evitare per quanto possibile, o da pagare extra: andare al CAF, pagare le spese per un conto corrente bancario, sedersi in un ristorante senza portarsi le pietanze al tavolo, in generale entrare in contatto con l'altro, sono una sorta di "extra", di servizio aggiuntivo: prevedono un contatto con l'altro, un altro di cui non sappiamo se possiamo fidarci (i recenti racconti sui venditori di titoli e investimenti in banca paiono dimostrarlo), e di cui pertanto possiamo fare a meno se ci sentiamo in qualche modo tuttologi. Tutto ciò non mi dà fastidio personalmente in quanto persona curiosa ed interessata ad imparare, ma non è assolutamente auspicabile per un futuro in cui in una comunità ognuno svolga un proprio ruolo, legittimo, riconosciuto e rispettabile indipendentemente dalla formazione, dalla forza fisica e dalle possibilità economiche cioè nel rispetto dei valori di uguaglianza su cui è fondata la nostra democrazia: valori che dovrebbero partire dall'essere buoni cittadini, non buoni consumatori. Penso a quegli utenti che non hanno nessuna intenzione - perché anziani, perché non tecnologicamente evoluti, perché di fretta, perché stanchi dopo 18 ore di lavoro o che ne so - di mostrare al mondo, agli amici e altri altri utenti/clienti/concittadini le loro (in)competenze: persone che semplicemente vorrebbero usufruire di un servizio semplice senza che la complessità delle cose pratiche ingigantisca gli ostacoli da superare per vivere nella società già di per sé complessa, e non credo che di per sé debbano giustificarsi. E soprattutto penso a tutte quelle persone che con i loro comportamenti non vogliono in alcun modo far perdere posti di lavoro ad altri o vorrebbero quanto meno vedere le commesse, i corrieri, etc. che possibilità abbiamo? Possiamo in qualche modo modificare i nostri comportamenti e le nostre scelte come consumatori per far sì che le aziende private modifichino il loro approccio alla vendita o gli enti modifichino il loro approccio nel contatto con l'utente? Ho dei seri dubbi, più di uno. 
Il mio dubbio è che in realtà le aziende/banche/enti stiano  rispondendo ad un bisogno sempre più individualista che si va sviluppando nella nostra società: il cliente/consumatore/utente pensa in linea di massima che sia meglio non confrontarsi con qualcuno se può arrangiarsi, che chi fa da sé fa per 3. Che prendere la macchina e andare a cercare un regalo di Natale girando per negozi, parcheggiando al freddo, magari rischiando di non trovare esattamente ciò che si vuole (il compromesso tra le proprie aspettative di acquisto e la realtà in questa narrazione è qualcosa a cui non si può cedere perché assolutamente non adatto a un cittadino che mette se stesso al centro), sia più faticoso che ordinare con pochi click e ricevere a domicilio. Da qui col tempo è nato un comportamento aggiuntivo: ordinare con un click è diventato "lo voglio a casa subito" e da lì è nato "se pago è un mio diritto avere a casa tutto e subito" con un meccanismo profondamente infantile e quanto meno discutibile nei passaggi mentali, assolutamente superficiali, che ci portano a questa conclusione: "se voglio un prodotto, deve arrivare a casa mia, domani, all'ora che dico io, perché tutto il mio mondo è vicino a me e come consumatore sono al centro". 
Una narrazione assolutamente estranea alla realtà di una comunità in cui siamo prima di tutto cittadini e non consumatori, ma una narrazione veicolata giorno dopo giorno dai mass media e dal tipo di pubblicità con cui siamo cresciuti. Una narrazione della realtà non correlata alla bellezza del quotidiano, a una reale comprensione di chi è l'altro con cui ci incontriamo, ma piuttosto una narrazione della realtà in cui c'è l'IO al centro: l'io consumatore, l'io che dimostra agli altri che tutto sommato sa fare tutto: la cassiera, la commercialista, il pagamento online, il bonifico con l'internet banking, la cameriera e la sparecchia-tavoli, la prenotazione con un touch screen di un qualunque servizio si stia prenotando, l'importante è che l'IO non si debba relazionare con un'altra persona perché quello no, appare nella nostra narrazione consumistica assolutamente più difficile che imparare a fare cose che non sappiamo fare, e quindi meglio non entrare in contatto con l'altro, col suo linguaggio, con le sue opinioni decisamente troppo soggettive per i nostri standard, con i suoi consigli di acquisto, con il suo umore che dipende da mille fattori esterni, e meglio avere tutto tracciato in modo da sostituire la fiducia con delle prove digitali e la proprie reali competenze con una tuttologia superficialmente applicata a qualsiasi ambito della vita. 
Onestamente, non so se esista una reale e realistica possibilità di invertire la rotta. Quello che penso è che laddove la politica manca e non fa delle scelte dalla parte del cittadino per decenni, l'economia la fa da padrona, e mi pare che stia avvenendo sotto i nostri occhi giorno dopo giorno col nostro tacito consenso. E che il problema quindi parta da noi - sì proprio noi io e te che leggi non altri lontani e sconosciuti e di conseguenza non affidabili, no proprio noi che ci riteniamo affidabili - e dalla nostra relazione con le aziende, con i consumi, con i prodotti, e più in generale con la percezione che abbiamo di una differenza tra oggetti e persone, tra il fine del consumo e il lavoratore che sta dietro al consumo: perché abbiamo una percezione della differenza, non è vero? 



Nessun commento:

Posta un commento

Prima pensa, poi scrivi