E' nata negli ultimi giorni l'ennesima polemica su come siano da considerare gli italiani all'estero. Merito - o colpa - del ministro Poletti che ha pensato di dire la sua sul fatto che, forse, gli italiani all'estero non sono tutti esattamente cervelli in fuga. Io penso che ognuno di noi abbia voglia di vivere dove si sente più a suo agio per il carattere, la forma mentis, le esigenze di vita e che il ministro non abbia detto nulla di strano sul fatto che molti degli italiani all'estero non sono dei geni.
Esempio banale senza pensare all'espatrio: se uno vive a milano ma vuole aria pulita, verde, no traffico, possibilità di far giocare i bimbi fuori, e in più ama fare sport, forse è meglio che si trasferisca in montagna. di contro, se uno abita in un paesino sperduto e desidera mezzi pubblici, strade senza neve, lavoro sotto casa, locali con birra a portata di mano e tutta una serie di confort, può pensare di trasferirsi in un centro più grande. Sono convinta - almeno per l'esiguo numero di miei amici che sicuramente non costituiscono una statistica seria - che molte persone che lasciano l'Italia lo farebbero comunque, anche se non ci fosse crisi. Perché non sopportano il nostro provincialismo, la Chiesa, la famiglia troppo presente culturalmente secondo gli standard italiani, l'impossibilità ad avere una giustizia sociale ed una effettiva parità di genere. C'è gente che in modo utopico come me dopo Erasmus, stage a New York e Australia ancora crede che questo Paese possa migliorare ma non faccio una colpa a chi ha deciso di cercare un luogo più consono al proprio carattere, alle proprie aspettative, ai propri ideali, anzi credo abbiano fatto benissimo. Il punto non è l'opinione di un ministro, il punto è che noi siamo tutti cittadini del mondo (come disse Epitteto nel I secolo d.C.) e che spostarsi non è una sconfitta ma una ricerca del luogo più adatto a ciascuno.
Guardate questo video, fino in fondo:
E ora ditemi: questi ragazzi dove troveranno più futuro, più speranza, più voglia di vivere? Non vi fanno tristezza le risposte ricevute? Pensiamoci, quelli che rispondono al telefono sono anziani ma comunque cittadini ed elettori italiani, i ragazzi possono scegliere - si spera - se hanno la forza di allontanarsi. Certo scegliere potrà portare al fatto che fra qualche anno quando si staranno divertendo a passare il Natale facendo un barbecue su una spiaggia australiana ci sarà un loro parente, rimasto in Italia e mai uscito dal paesello che si lamenterà con la politica del fatto che il figlio è lontano.
La ricerca di un luogo migliore dove vivere, di uno sguardo più ampio sulle prospettive di vita, la volontà di crescere dei figli che già sappiano due lingue fin dalla nascita, la volontà di guardare un altro tramonto, un altro orizzonte, non è esclusiva di chi ha un "cervellone", è parte dell'essere umano. I confini sono stati creati dalla storia e dallo sviluppo complesso dei rapporti internazionali degli ultimi secoli, ma sono ancor più nelle nostre teste: superare i pregiudizi su "all'estero di mangia male" e "che fatica parlare e scrivere in un'altra lingua" o pensare più semplicemente di ampliare il proprio business divertendosi, non sono una condanna o un rifiuto da parte del Paese d'origine: sono un ponte tra le culture. Viviamo in una società dove si può andare dall'altra parte del mondo in 24 ore di volo, dove per avere un visto si può fare la domanda online e dove con un corriere e un costo relativamente contenuto puoi spedire una merce negli USA e vederla consegnata domani mattina. Forse manca ancora uno scambio così veloce di idee, ma le persone si spostano con la stessa rapidità con cui una volta si andava a malapena a Milano, per cui ben venga il viaggio, la scoperta, l'incontro con l'altro.
Il rapporto della Fondazione Migrantes sugli italiani all'estero - da ANSA |
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