Condivido con voi l'intervista al presidente della Commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano oggi su l'Unità e il punto di vista di Luigi Sbarra segretario generale della Fai Cisl nazionale
sull'uso smodato e sconsiderato dei voucher e sulla necessità di un
cambio di rotta. L'utilizzo dei voucher, iniziato nel 2003 come modo per
far emergere lavori quali personale per le pulizie domestiche,
babysitting e ripetizioni, sta piano piano prendendo il sopravvento come
nuova modalità di ingaggio per lavori per i quali è regolarmente
prevista la possibilità (e il dovere?) di applicazione di un CCNL di
riferimento.
Come è noto, negli ultimi anni la politica e le azioni legislative hanno prodotto norme che più o meno gradualmente hanno allargato la legittimazione nell'uso dei voucher sia dal punto di vista del "lavoratore" che del committente. I numeri sono chiari ed emblematici sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
Come è noto, negli ultimi anni la politica e le azioni legislative hanno prodotto norme che più o meno gradualmente hanno allargato la legittimazione nell'uso dei voucher sia dal punto di vista del "lavoratore" che del committente. I numeri sono chiari ed emblematici sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.
L'Unitù 27 dicembre 2016 intervista a Cesare Damiano e a Luigi Sbarra |
Attraverso la Riforma del 2012 (governo Monti) è stato superato il concetto di "occasionalità ed accessorietà” delle prestazioni, collegando così la nozione di lavoro accessorio unicamente al riferimento del compenso annuale in capo al prestatore di lavoro; questo ha dato la possibilità di utilizzarlo tutti i giorni, in maniera continuativa. E quindi, perché un datore di lavoro dovrebbe stipulare un contratto a tempo determinato part time o full time con tutti gli oneri e i costi che ciò comporta (tredicesima e quattordicesima per i contratti che lo prevedono tra cui quello del commercio e dei trasporti e logistica, Trattamento di fine rapporto che permette al lavoratore temporaneo di non collassare tra un breve contratto e l'altro, ferie, malattia, maternità, contribuzione, disoccupazione, tasse, ormai spesso considerati più un benefit che un diritto), se può reclutare personale a voucher e pagarlo 7,50 euro l’ora senza costi aggiuntivi? È chiaro che la domanda è retorica, in quanto la risposta va da sé e i dati sull’impennata di utilizzo anno dopo anno lo dimostrano. Aggiungo che va diffondendosi l'abitudine di richiedere certificati di malattia per assenza anche su contratti (voucher ma non solo) che non prevedono il pagamento della malattia stessa, e in questo senso è profondamente mancante il sindacato nel suo ruolo informativo perché ovviamente il lavoratore che è reso consapevole del fatto che qualora la malattia non sia retribuita non è dovuto alcun certificato medico in caso di assenza non lo produrrà, e il fatto che ci sia ignoranza in materia tra i lavoratori può creare pericolosi precedenti.
Le modifiche legislative sui voucher, anno dopo anno, riforma dopo riforma, ne hanno allargato il campo di applicazione sia oggettivo (i settori) che soggettivo (datori di lavoro e lavoratori), con l’ulteriore e recente novità, contenuta nel d.lgs 81/2015, dell’aumento a 7.000 euro dell’importo netto percepibile annualmente dal singolo prestatore di lavoro. Un lordo che supera tra l'altro gli 8000 euro al di sotto dei quali un lavoratore dipendente o pensionato non pagherebbe l'irpef. In questo modo, dal momento che nel caso di un cumulo di CUD il lavoratore si ritrova centinaia di euro di tasse da pagare l'anno successivo anche se solo uno dei datori di lavoro dovesse sbagliare le trattenute irpef, e il pagamento delle tasse è a quel punto a carico del lavoratore, chi viene retribuito a voucher non è in alcun modo incentivato a cambiare la propria situazione per non rischiare di dover versare di tasca propria l'extra di irpef.
E il tetto per il committente? La normativa non lo ha mai previsto. E questo è un primo, ma non unico problema.
Così la stravagante normativa sul lavoro accessorio prevede che il prestatore di lavoro, indipendentemente dal numero dei committenti per cui lavora, non possa superare un compenso annuale di 7.000 euro, mentre il singolo committente potrebbe avere tutta la forza lavoro con voucher senza avere alcun tetto annuo. E non stiamo parlando di un committente circoscritto (come famiglia che si avvale di personale per le pulizie o baby sitter), poiché la normativa non mette limiti ai settori in cui si può utilizzare.
Tutto ciò ha comportato un vertiginoso aumento dei voucher. Si è passati dai 536.000 buoni venduti nel 2008 agli oltre 115 milioni del 2015, con una costante: le prime 3 Regioni per maggior numero di voucher venduti sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna.
Complessivamente dal 2008 al 2015 sono stati venduti 277.193.002 voucher, mentre quelli riscossi ammontano a 238.081.224, con una differenza di oltre 39 milioni di voucher non utilizzati dai committenti.
Insomma: fatta la legge, trovato l'inganno. E' ora di rifare la legge?
(ringrazio la UIL per i dati fornitimi)
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